Come le arti creative possono innescare un processo di cambiamento della scuola? La recente pubblicazione dal titolo Inspiring School Change, Transforming Education through the Creative Arts, di Christine Hall e Pat Thomson mostra i risultati del programma di rinnovamento delle pratiche scolastiche promosso dal Regno Unito dal titolo Creative Partnerships (CP). Gli autori riconoscono a questa iniziativa governativa una differenza notevole rispetto agli altri tentativi di riforme precedenti: di natura più organica, è stata trasformata durante lo svolgimento, modificandone via via gli obiettivi. Il focus del programma non è stata una generica promozione delle arti ma il tentativo di creare connessioni tra le industrie creative, le scuole e le persone implicate. Le regioni sono state incoraggiate a sviluppare le proprie priorità e il proprio ethos in un quadro comune semplice che ha richiesto loro di articolare una chiara visione locale, lavorare con un numero specifico (prescritto) di scuole, impegnarsi nell’apprendimento e nella ricerca e assicurare che a ciascuna delle scuole partner fossero assegnati «agenti creativi». Il centro direttivo nazionale del CP ha mantenuto un impegno di ricerca e un dialogo con le diverse regioni attraverso visite e scambi, conferenze, una varietà di pubblicazioni scientifiche e un sito web ampio e aggiornato.
Il Creative Partnerships è stato il più grande e più lungo programma di questo tipo al mondo: nel corso dei nove anni della sua vita, ha coinvolto oltre 2.700 scuole in tutta l’Inghilterra, 90.000 insegnanti e più di un milione di giovani in 8.000 progetti (vedi i dati sull’impatto sociale). Ha prodotto revisioni della letteratura e una vasta gamma di studi di ricerca. La ricerca indipendente del PriceWaterhouseCoopers (PwC) – citata sul sito web del CP – ha stimato che il programma ha generato quasi 4 miliardi netti di sterline di benefici positivi per l’economia del Regno Unito. Al termine del programma, con il cambio di governo nel Regno Unito nel 2010, la Creativity Culture Education (CCE), l’organizzazione incaricata del lascito, ha continuato a basarsi sui principi e le pratiche apprese attraverso il lavoro fondamentale del programma.
Nello sviluppo delle partnerships il CP si è proposto di creare una nuova forza lavoro, chiamata «agenti creativi» (Creative Agents, CA), il cui obiettivo fosse l’intermediazione, il supporto e il sostegno delle partnership tra scuole e organizzazioni creative e culturali. Molti degli CA in Inghilterra – e ultimamente nei paesi in cui CCE è stata attiva, come la Lituania e la Norvegia – sono essi stessi artisti e professionisti creativi interessati a lavorare nelle scuole in modi che vanno al di là di progetti una tantum. Come professionisti indipendenti, i CA si trovano in una posizione unica per sviluppare relazioni di collaborazione e di supporto con gli insegnanti e il personale scolastico, gli studenti e gli altri professionisti creativi per garantire efficacia, la portata e la sostenibilità necessarie al conseguimento di miglioramenti e trasformazioni nella pedagogia dell’intero istituto. Come è avvenuto tutto questo? Le attività sono state varie (e ve ne sono di infinite possibili): per esempio diverse scuole hanno lavorato su grandi produzioni e spettacoli collaborativi, altre hanno impiegato artisti per lavorare a fianco degli insegnanti per periodi prolungati, altre scuole hanno collegato pratiche creative alla cultura giovanile e alle industrie creative e infine alcune scuole si sono concentrate sullo sviluppo della comprensione della creatività da parte degli insegnanti nelle loro vite professionali.
Quali sono stati i risultati? In che misura possono essere utili o ispirare anche la nostra realtà italiana? Su molti aspetti il CP britannico ha determinato cambiamenti positivi, ci limitiamo qui ad riportare quelli più significativi per la nostra ricerca. Innanzitutto dal punto di vista della promozione della persona vi sono evidenze che mostrano come il partecipare attivamente ad un’attività che gode di prestigio sociale e culturale generi autostima, un nuovo rispetto per se stessi specialmente in coloro che si sentono esclusi dalla società. L’attività artistica, possedendo dei criteri di giudizio per lo più intriseci all’«opera» stessa e non fissati estrinsecamente in modo rigido, consente inoltre un senso di autorealizzazione che può essere difficile da ottenere in materie accademiche standard.
In generale si è osservato poi un miglioramento delle soft skills: la stragrande maggioranza delle scuole ha osservato benefici significativi in bambini e giovani in termini di soft skills associate a cittadinanza, benessere e occupazione: senso di autoefficacia, maggiore capacità di lavorare insieme come squadra, saper negoziare e prendere decisioni, capacità di formulare idee e di portarle avanti, capacità di esprimersi e di comunicare con una gamma più ampia di persone che usano generi e media diversi, un maggiore rispetto e apprezzamento degli altri, un maggiore senso di soddisfazione personale.
Si è visto come l’apprendimento creativo sia strettamente associato all’insegnamento creativo: in studenti e insegnanti si è generato un «pensiero delle possibilità»: un atteggiamento che rifiuta di essere limitato dalle circostanze e usa intenzionalmente l’immaginazione per trovare il modo per risolvere i problemi. Questo atteggiamento implica saper porre domande, identificare argomenti di indagine e possibili nuove opzioni. È un modo di pensare «in discussione», «sconcertante», che domanda: «cosa succede se…?».
Si è osservato come l’apprendimento creativo attraverso le arti non possa accadere se non durante l’apprendimento delle arti, ma ciò che può essere esteso è proprio il metodo: non «insegnando la creatività», ma insegnando «in modo creativo», attivando la creatività. Come può accadere di insegnare l’arte in modo non solo non creativo, ma noioso e dannoso, si possono di contro insegnare la matematica e storia in modo creativo. Così il metodo artistico può generare miglioramenti nei risultati anche nelle altre discipline, con un’attenzione: correlazione non significa causalità. Ciò che si può dire è che quando si sviluppano abilità artigiane o tecniche, accade correlativamente anche l’attivazione e lo sviluppo di altre «disposizioni mentali»: osservare, immaginare, riflettere, esprimere, esplorare, coinvolgersi, persistere, comprendere. Queste disposizioni sono, sostengono i ricercatori, importanti non solo per le arti visive, ma per tutte le discipline artistiche e per molte altre aree di studio.
Ritroviamo qui un concetto cardine: il flexible purposing, formulato da Dewey e ripreso dall’insegnante e pedagogista Elliot Eisner. Nel modello occidentale di processo razionale decisionale la formulazione di scopi e obiettivi è un momento critico: dipendiamo inesorabilmente dalla convinzione che si debbano avere fini chiaramente definiti. Una volta che i fini siano stati concettualizzati vengono formulati i mezzi per raggiungerli, implementato il processo e quindi valutati i risultati. Se c’è una discrepanza tra intenzione e realizzazione, vengono semplicemente formulati nuovi mezzi. I fini sono mantenuti costanti e si crede sempre che essi precedano i mezzi. Eisner chiede: è poi vero tutto questo? Risposta: nelle arti non lo è certamente. Nelle arti i fini possono seguire i mezzi. Nel processo di creazione di un’opera d’arte emergono idee e tecniche che portano il creatore in direzioni nuove e diverse. Come hanno più volte mostrato i lavori di impronta fenomenologica di C. Sini (vedi fra gli altri L’uomo, la macchina, l’automa. Lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto, Bollati e Boringhieri 2009) è l’accadere dell’azione (tracciare, modellare, scrivere, cantare, percuotere, manipolare) che ritorna indietro sulla mente dell’agente, il quale non è già più lo stesso soggetto precedente all’azione. Ogni azione si retro-flette sul soggetto rendendolo tale. Non c’è un soggetto con un pensiero già completamente formato che poi semplicemente si applichi in un’azione. Provocatoriamente –estremizzando- si può dire che è «l’effetto che genera la sua causa» o, più esistenzialmente, che è «il fare che genera il sapere». Le cose sarebbero molto più complesse da indagare ma anche così questo pensiero si presenta gravido di conseguenze pedagogiche per le quali varrebbe la pena di mettere nelle condizioni di fare arte gli studenti di ogni scuola.
Nelle aule del Regno Unito (e spesso anche Italiane) tiranneggiate da un programma ufficiale che richiede che i risultati dell’apprendimento siano specificati prima dell’inizio della lezione e giudica il successo della lezione sul conseguimento o meno di questi risultati specifici, ciò offre un importante sconvolgimento della pedagogia predefinita.
I casi di scuole presentati in Inspiring School Change verificano le affermazioni già formulate da Eisner:
«1. Le arti insegnano a esprimere giudizi positivi sulle relazioni qualitative. A differenza di gran parte del curriculum in cui prevalgono risposte e regole corrette, nelle arti ciò che prevale è il giudizio complessivo piuttosto che la correttezza delle regole.
- Le arti insegnano che i problemi possono avere più di una soluzione e che le domande possono avere più di una risposta.
- Le arti celebrano molteplici prospettive. Una delle loro grandi lezioni è che ci sono molti modi per vedere e interpretare il mondo.
- Le arti insegnano che le forme complesse di problem solving sono raramente fisse, ma cambiano con le circostanze e le opportunità. L’apprendimento nelle arti richiede l’abilità e la volontà di accogliere le possibilità inaspettate del lavoro mentre esso si svolge.
- Le arti rendono vivido il fatto che né le parole nella loro forma letterale né i numeri esauriscono ciò che possiamo sapere. I limiti del nostro linguaggio non definiscono i limiti della nostra conoscenza.
- Le arti insegnano che piccole differenze possono avere grandi effetti. L’arte viaggia nelle sottigliezze.
- Le arti insegnano a pensare attraverso e all’interno un materiale. Tutte le forme d’arte impiegano alcuni mezzi attraverso i quali le immagini diventano reali.
- Le arti aiutano a imparare a dire ciò che non può essere detto. Quando gli studenti sono invitati a rivelare ciò che un’opera d’arte li aiuta a sentire, devono attivare le loro capacità poetiche per trovare le parole per farlo.
- Le arti ci permettono di avere un’esperienza che non possiamo attingere da nessun’altra fonte e attraverso questa esperienza scoprire la gamma e la varietà di ciò che siamo capaci di provare.
- La posizione delle arti nel curriculum scolastico simboleggia per i giovani ciò che gli adulti credono sia importante».
Terminiamo con un’ultima osservazione legata al mondo del lavoro: in alcuni dei casi analizzati gli studenti sono stati incoraggiati a lavorare su grandi progetti, in dimensioni imponenti, materiali difficili da lavorare e per lunghi periodi di tempo, affiancati da artisti professionisti, spesso in spazi espositivi pubblici. I dati di ricerca accumulati contengono, da parte degli studenti, ripetuti riferimenti al senso di realizzazione derivante dal raggiungimento di qualcosa che, all’inizio di un progetto, avevano pensato al di là della loro portata. L’importanza di essere in grado di pensare in grande, di realizzare in grande, e di essere supportati per sviluppare le capacità e le conoscenze necessarie per raggiungere questo obiettivo, è stata la base per costruire nuove nozioni su «chi fossero» e «chi potrebbero diventare». Il trasporre l’immaginazione (artistica) nella dimensione del reale (il mondo del lavoro) ha mostrato come il raggiungere qualcosa che inizialmente andava oltre le possibilità calcolabili abbia aperto nuovi orizzonti per i giovani. Se è vero che la tecnologia corre più veloce di noi, forse ci conviene questo “balzo creativo”. Are we ready for this?