Un’alleanza educativa multi-stakeholder per la personalizzazione: la strada per i minori fuori famiglia

La promozione del benessere scolastico dei bambini e dei ragazzi che si trovano temporaneamente fuori famiglia (in affido etero familiare, oppure ospiti di comunità residenziali compresi i minori non accompagnati) è un tema oggi di grande rilevanza. Questo concept note rappresenta una riflessione sintetica frutto del lavoro di équipe di educatori e formatori che operano all’interno del network Cometa.

1. Premessa

Le ragioni per cui la maggior parte dei bambini in affido presenta difficoltà scolastiche, sia dal punto di vista dell’apprendimento, che dal punto di vista comportamentale, sono diverse.
L’allontanamento dalla famiglia avviene per lo più attorno ai sette anni di età del bambino; si può certamente affermare che, nel corso degli anni più importanti della loro crescita, questi bambini vivono in contesti difficili, privi di volti adulti presenti e di riferimento, poco regolati (si intende regolazione di tempo e di spazio) e con poche stimolazioni cognitive. L’impatto negativo generato da queste situazioni si manifesta sinteticamente in tre ambiti:

  • affettivo-emotivo;
  • regolativo;
  • cognitivo

Nell’affronto del percorso scolastico l’emergere nel bambino di difficoltà in questi tre ambiti porta a un crescente malessere scolastico che spiega ampiamente la percentuale di bocciati maggiore rispetto a minori che vivono nella loro famiglia, fin dalla scuola primaria1.
Alla radice delle molte difficoltà di apprendimento che i minori allontanati presentano, vi sono in primis deficit cognitivi dovuti in gran parte alla trascuratezza e poca stimolazione: mancanza della memoria di lavoro, problemi di attenzione, difficoltà connesse a specifiche discipline, oltre a disturbi specifici dell’apprendimento e difficoltà di linguaggio. A livello comportamentale si segnala in particolare la mancanza o assenza di regolazione agli stimoli che provoca generalmente risposte impulsive e agiti.

2. Le criticità emergenti nel contesto scolastico

La scuola spesso diventa il luogo dove i minori depongono le proprie difficoltà, ed è anche un luogo cruciale per poter rilanciare l’immagine di sé e acquisire autostima e autoefficacy; il successo scolastico può essere infatti un riscatto importante, seppur difficile da ottenere, proprio in ragione delle problematiche citate. La situazione odierna della scuola presenta tuttavia delle criticità che rendono più complesso non solo affrontare i problemi connessi all’aspetto relazionale e regolativo, ma anche le stesse difficoltà cognitive e comportamentali.

  • Mancanza di un intervento personalizzato: la gestione di casi complessi quali i minori temporaneamente fuori famiglia richiede anzitutto una maggiore elasticità nella gestione di tempi e spazi del ragazzo: attualmente non è semplice ad esempio consentire al ragazzo di allontanarsi da scuola (per le cure psicologiche, psicomotorie, oppure per le visite dei genitori naturali). La stessa rigidità emerge nella scarsa disponibilità a cambiare o adeguare i programmi riscontrata in molti docenti; ciò rende piuttosto difficile offrire una personalizzazione del percorso formativo ed educativo. Infine, nelle richieste prestazionali, spesso vengono sottolineati solamente i comportamenti negativi o di disturbo e le difficoltà relazionali coi pari e con gli adulti, trascurando la situazione di disagio pregressa. 
  • Frammentazione dell’azione educativa: la frammentazione degli interventi dei docenti nella singola scuola, lo scarso coordinamento e il flusso discontinuo di informazioni sul percorso scolastico dei ragazzi nel passaggio da una scuola ad un’altra, possono generare ulteriori criticità. Emerge chiaramente la mancanza di una figura di riferimento tra i docenti che svolga la funzione di case manager; con questo termine si intende il responsabile di un progetto personalizzato che favorisca il coordinamento e l’unità di intenti non solo tra tutto il consiglio di classe ma anche con tutti gli attori che si occupano del minore (famiglia affidataria, famiglia di origine, servizi sociali invianti, realtà extrascolastiche in cui il minore è coinvolto). La sua funzione sarebbe ovviamente decisiva anche nell’ottica di acquisire la storia del percorso scolastico del ragazzo nel corso dei suoi spostamenti.

3. Alcune proposte per un intervento educativo efficace

Per la natura complessa dell’affido, e per la complessità stessa della natura del singolo ragazzo, la conseguenza principale è che il successo scolastico e formativo non è e non può essere solo compito delle istituzioni scolastiche. Non solo per l’onere del lavoro, ma soprattutto per la necessità di competenze specifiche, le proposte qui riportate ruotano attorno alla consapevolezza che il compito educativo deve essere multi-stakeholder.

  • Una rete sinergica di attori: la consapevolezza che il successo educativo dipende dalla collaborazione sinergica di più attori è decisiva e va, per questa ragione, consolidata sia culturalmente sia operativamente. Il ruolo di case manager precedentemente delineato dovrebbe essere infatti concepito in chiave di baricentro di una rete che include tutti gli attori che ruotano attorno al ragazzo: la famiglia di origine, la famiglia affidataria (o la comunità educativa), i servizi sociali, i terapeuti, e tutte quelle realtà extrascolastiche che il minore frequenta. Dentro questo lavoro di rete può emergere un progetto personalizzato condiviso che tenga conto di un numero adeguato di fattori: in tal senso le scelte sull’organizzazione dei tempi, sui luoghi da frequentare, sulle attività da svolgere, così come la valutazione complessiva (non solo scolastica) possono rispondere a una visione unitaria di obiettivo.
  • Il coordinamento tra istituzioni scolastiche: è necessario rafforzare il coordinamento tra tutte le scuole del territorio, a partire dalle scuole dell’infanzia a quelle primarie e secondarie di primo e secondo grado, nell’ottica di favorire una continuità educativa. Questo sistema favorisce un cambiamento di paradigma culturale: dalla pura e semplice trasmissione dell’informazione/documentazione tra scuole a un vero e proprio raccordo permanente tra scuole in rete, in grado di attivare percorsi di formazione comune, progetti sperimentali per garantire la presa in carico dell’alunno nel corso di tutto l’arco di vita. Legato a questo tema è la scelta della scuola secondaria di secondo grado: l’attitudine è il vero punto di forza ma è un problema di conoscenza di sé che richiede interventi mirati di orientamento e counseling per aiutare i ragazzi a prendersi sul serio, ad incominciare ad osservarsi in azione, a paragonare quello che viene detto durante le lezioni con la propria esperienza.
  • Un potenziamento della formazione dei docenti: un modello di intervento sinergico, così come delineato, richiede anzitutto una formazione specifica dei docenti. Nella situazione attuale si può riscontrare che, pur in caso di grande disponibilità, i docenti non sono formati a sufficienza per trattare adeguatamente i minori in affidamento famigliare, non essendo a conoscenza della complessità dell’intervento e delle metodologie migliori per la costruzione e la gestione flessibile di un progetto condiviso di personalizzazione. Il potenziamento della formazione dovrebbe includere anche aspetti di natura legislativa e amministrativa, incluse, ad esempio, la conoscenza delle normative sulla privacy e del segreto professionale. Le competenze del case manager o di un tutor che favorisca l’inclusione del ragazzo nel gruppo classe richiedono competenze specifiche.
  • L’innovazione delle metodologie didattiche: dal punto di vista più strettamente scolastico e didattico, l’utilizzo di strategie nuove di insegnamento – come per esempio l’introduzione di forme laboratoriali di apprendimento – è certamente da incentivare. Uno strumento innovativo che può aiutare ad integrare i saperi più “tradizionali” sono le metodologie laboratoriali che connettono il sapere teorico all’esperienza di vita. Attività quali teatro, arte e attività manuali contribuiscono a migliorare quelle competenze affettive, cognitive e relazionali importanti per la crescita del ragazzo.
  • Una rete di luoghi: Attività di sostegno allo studio, forme laboratoriali, teatro, musica, non devono necessariamente svolgersi all’interno della scuola; laddove, ad esempio, le difficoltà prevalenti non siano cognitive ma emotive, affettive e di autoregolazione, è importante piuttosto la frequenza di luoghi extrascolastici pomeridiani. In questi contesti, i ragazzi possono incontrarsi con altri coetanei, svolgere i compiti o partecipare ad attività ludiche, laboratoriali, musicali e sportive. Dentro un piano personalizzato e condiviso, ad esempio, si possono tracciare nuove strategie per affrontare i problemi di apprendimento attraverso laboratori di potenziamento; ma anche solo, semplicemente offrire un luogo dove il ragazzo possa svolgere i compiti, spesso causa di frustrazione. In autonomia, infatti, questi ragazzi non svolgono i compiti, incapaci di concentrazione e di accettare l’aiuto dei genitori affidatari. La condivisione del progetto personalizzato richiede tuttavia anche il riconoscimento che il processo di valutazione della scuola tenga conto delle osservazioni e dei rilievi di tutte quelle realtà extrascolastiche che, in misura differente, contribuiscono allo sviluppo educativo del ragazzo.

4. Conclusioni

Il famoso proverbio “per educare un bambino ci vuole un villaggio” è certamente decisivo per i casi di minori in affidamento temporaneo: una nuova alleanza educativa che consolidi la collaborazione stabile tra scuola, famiglia e agenzie educative extrascolastiche, per creare un vero e proprio approccio di sistema alla tematica. Folgaheraiter (2002) rileva che “il raccordo tra professionisti che appartengono a sistemi organizzativi differenti, di tipo istituzionale, come la scuola, i servizi sociali e sanitari, o di tipo informale, come il privato sociale e l’associazionismo che sono caratterizzati da assetti e funzionamenti peculiari non possono essere solo inter-personali, vale a dire sporadici o affidati al volontarismo di singoli operatori, ma dovrebbero essere strutturali cioè stabili nella modalità e nel tempo”.
Solo a partire da un approccio ampio e di sistema si può arrivare alla definizione di una personalizzazione efficace dell’intervento educativo. Un intervento dei policy-makers dovrebbe pertanto porre l’accento sul superamento di rigidi confini tra le istituzioni educative promuovendo una concreta istituzionalizzazione del sistema multi-stakeholder; e, di conseguenza, affidare a questo sistema, attraverso il ruolo guida del case manager, la realizzazione e la gestione di un piano personalizzato flessibile, al servizio e in continuo adattamento all’evoluzione complessa del singolo ragazzo.

Pubblicato da Paolo Nardi

Dr Paolo Nardi is International Affairs and Research Officer at Cometa VET Centre (Italy) and Coordinator of the UNESCO-UNEVOC Centre for Italy. Co-opted Board Member of VETNET (association of researchers in VET). Fellow at PlusValue. Board Member of the Journal Economics and Policy of Energy and the Environment. Degree in Public Administration and International Institutions and PhD in International Law and Economics at Università Bocconi; MA in Public Policy at Brunel University London. His research interests shifted from human geography (namely: non profit, social innovation and community development) to education and training, namely innovations in pedagogy and life skills.

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