Potenziare i saperi della mente: i 5 ingredienti dell’ottica laboratoriale

Lo scorso 14 luglio, in chiusura del progetto NuovaMENTE, si è tenuto un webinar a cura del team di educatori de Il Manto per approfondire gli elementi essenziali dell’ottica laboratoriale e l’impatto vissuto nel corso del lockdown. In questo articolo a cura di Mercadante, Ferrario, Fucilli e Mangiacotti si presentano i contenuti principali emersi. Per chi volesse rivedere l’evento, è possibile seguirlo sulla canale Youtube di Cometa a questo link.
(si ringrazia il Fondo di Beneficenza di Intesa San Paolo)

  1. Introduzione

Il Manto, oltre a offrire ai minori una “casa”, si propone di fornire ai minori (segnalati dalle proprie famiglie o dalla scuola) un supporto individualizzato all’educazione e all’apprendimento, dall’accompagnamento quotidiano nello svolgimento dei compiti scolastici al potenziamento tanto degli stessi processi sottesi a tali saperi quanto a quelli emotivo-relazionali-civici, veicolato da un costante dialogo con le scuole partner, i loro docenti e le famiglie, il tutto a partire dalla grande convinzione di consolidare una cultura educativo-formativa nella costante formazione dei suoi educatori.

La didattica laboratoriale quale approccio metodologico che deriva dal modello Autoregolativo (Mercadante, 2007) è quanto utilizza Il Manto per elaborare il Curricolo dei talenti e dei potenziali di ogni alunno; un bilancio di competenze e capacità osservate in azioni contestualizzate. Approccio che si fonda su due concetti fondamentali:

  • competenza/capacità, intesa come espressione personale di tenere insieme la dimensione conoscitiva (relativa a saperi ingenui e saperi disciplinari) con la dimensione operativa (relativa all’organizzazione dei piani di azione e alle scelte strategiche) e con la dimensione emotivo-socio-relazionale-civica (relativa ai propri stati emotivi, comportamentali e socio-relazionali tipici delle competenze chiave di cittadinanza); la capacità di regolazione tra le tre dimensioni mostra pertanto la persona competente
  • ottica laboratoriale, intesa sia secondo i contorni delineati dal Decreto Ministeriale del 27 dicembre 2012, che lo vede come luogo fisico e come momento in cui il minore progetta, sperimenta, discute, impara, negozia, costruisce e valuta risultati; sia come approccio meta cognitivo all’autoregolazione del pensiero e della psiche che si pensa e che poi agisce in autonomia e corresponsabilità.

Con l’accompagnamento di educatori professionisti i ragazzi approcciano l’esperienza del vivere il quotidiano invitati a coniugare “sapere” e “saper fare” presenti nelle varie azioni, ossia imparano riflettendo sui saperi ingenui manifestati nel fare mettendoli a confronto con i saperi disciplinari. Ossia la disciplina, disciplina la mente. Le proporzioni e le frazioni si apprendono preparando i biscotti; le figure piane e tridimensionali, gli spessori, la precisione progettando e poi costruendo un aeroplano di legno; sperimentare gli elementi climatici, il sistema solare e la loro ricaduta sulle nostre azioni e sulla chimica di base dei semi e piante, attraverso la progettazione e cura delle coltivazioni.

Nei diversi laboratori realizzati in un ambiente “domestico e familiare” gli educatori sollecitano il contributo di ogni ragazzo nell’ideare, immaginare progettando (l’etimo di progetto è pro-jecto), pianificare, confrontare, realizzare e poi valutare le reciproche azioni facendo rendiconti economico-sociali. Questa metodologia attiva la volontà del fare, del mettersi in gioco come protagonista, del provare, sapendo che sbagliando si impara anche a superare le frustrazioni derivate dalle nostre convinzioni del non essere capace. Il giovane “mette in campo” e misura la propria capacità, reinventandosi creativamente grazie ai saperi scolastici, alla cooperazione e al confronto coi pari e con l’educatore che ritiene in quel momento dei “maestri”. Cosi prende atto delle sue capacità, peculiarità, manualità e del livello organizzativo del suo sviluppare piani progettuali di successo.

In questo senso le azioni laboratoriali integrano i linguaggi del curricolo scolastico con i linguaggi strategici narrati nel curricolo extra-scolastico; saperi e metodi di studio interrogano le conoscenze esperite e astratte nella loro complessità e reticolarità interdipendente. È proprio sulla base di questa impostazione che nasce l’elaborazione di un “Curricolo extrascolastico dei talenti e dei potenziali di ogni ragazzo”, a cura di Mercadante, con l’intento di integrare il profilo delle capacitazioni documentate di ogni studente con il profilo espresso dalla scuola. Questo documento contiene strategie e processi manifestati nei vari contesti laboratoriali; il livello di organizzazione del ragazzo mentre si predispone per poi svolge il suo compito e i prodotti che lo studente ha realizzato al meglio, poiché se lo ha fatto una volta può benissimo ripeterli con tutte le variazioni sul tema. Documento che valorizza il soggetto perché possa projectarsi nel proprio divenire. Il curricolo è redatto con e per il ragazzo stesso, per la famiglia e per la scuola, come richiesto dalle Indicazioni Ministeriali, per documentare le capacità significative agite ridondante al di fuori dell’ambito scolastico. competenze contestualizzate che il ragazzo esercita in modo multidimensionale in quanto espressione di abilità: manuali, cognitive, metacognitive, relazionali, emotive e civiche.

Il modello Autoregolativo di riferimento applicato da Il Manto vede infatti la persona che apprende ad esercitare abilmente talenti e competenze come “insieme integrato di conoscenze, abilità e atteggiamenti, utili a far fronte ad un compito o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive e a utilizzare le risorse esterne disponibili in modo coerente e fecondo” (Pellerey, 2004: 12) competenze descritte come etica della responsabilità, dell’autonomia  e dell’esercizio di cittadinanza (Raccomandazioni del 23-4-2008, Quadro Europeo delle qualifiche; ONU, Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, ob 4: fornire una educazione di qualità, equa, inclusiva e di opportunità di apprendimento per tutti )

  1. Il conflitti della persona competente in azione

Un filone della letteratura che si occupa degli universali pragmatici dell’azione sociale, nei suoi aspetti soggettivi, strutturali ed evolutivi (Habermas, Weber), prende in esame le strutture del sistema di dominio dell’organizzazione della produzione e la conseguente modificazione delle immagini linguistiche del mondo reale che esse producono. Infatti le azioni compiute dagli esseri umani, sia atti consci o inconsci, sono sempre veicolate da tre movimenti:

  • Impulsi di energia vitale che spingono ad inter-agire con e nel mondo;
  • Norme e regole valoriali, la cui coscienza comporta il riconoscimento razionale dei propri atti e dei propri sentimenti secondo un modello dell’identità personale che si gioca tra il passato, il futuro e il presente (Edelman, 1991);
  • Una concatenazioni di azioni quali script più o meno pianificati, frammentati, che soddisfano una gerarchia di scopi e che si realizzano nella quotidianità tramite saperi, per lo più ingenui, strategie e abilità per lo più frammentate poco automatizzate finalizzate a scopi per lo più impliciti.

Tale presupposto rimanda alle funzioni esecutive di successo quali schemi cognitivi strategici di ordine superiore, quindi coscienti, che permettono alle persone di immaginare scopi, conservarli in memoria, inibire le risposte emotive, adattarsi agli eventi e prevedere gli ostacoli.

Si può affiancare ai tre movimenti che rimandano alle funzioni cognitive quanto viene affermato da un altro filone della letteratura che studia le dinamiche della psiche, quali ad esempio la scuola di Pratiche Freudiane dei Finzi, che dice dei conflitti latenti generati dalle tre istanze dell’apparato psichico inerenti i rapporti tra le personali convinzioni narcisistiche su di sè, sul mondo percepito e sul pensiero concreto. Più in dettaglio, tali conflitti psichici governano:

  • Il profondo impulso vitale dato dal principio di vita dell’Es;
  • Le norme e le regole valoriali ereditate dalla cultura di appartenza , secondo il principio del Super-Io;
  • I piani di azioni finalizzati all’immediata soddisfazione dell’impulso vitale, che devono fare i conti con le regole valoriali, agiti impulsivamente tramite saperi, abilità e strategie ritenute più o meno idonee alla messa in atto dell’azione concreta, secondo i principi di vita e di morte dell’Io.

In tal modo si può vedere il soggetto implicato nella regolazione tra queste tre forze conflittuali che deve decidere come esercitare il proprio Sé e quindi giungere alla messa a punto delle funzioni esecutive strategiche: “lo posso fare-non lo posso fare”. Una pedagogia che traghetta dal dover essere, al poter essere come si è, grazie all’educatore che cerca di educere quanto è latente nel soggetto di cura. Che coglie i saperi ingenui per convogliarli verso saperi disciplinati necessari per la lavorazione delle mente, della mente in azione, dei linguaggi e della visione del mondo. Che coglie le strategie agite dal ragazzo sulle quali pone domande perché l’apprendista possa trovare risposte al suo modo di lavorare l’idea, la sua identità.

Come portare in superficie questi conflitti per sostenere ogni ragazzo verso una possibile regolazione? Un modo è quello di invitare ogni ragazzo a scegliere, a decidere cosa vuole fare e come produrre, facendo in modo che metta alla prova il suo pensiero e la sua psiche con i fatti agiti nel contesto reale e sociale, ben sapendo che questa richiesta comporta:

  • la capacità di afferrare una sola idea, che vuol dire rinunciare alle molte altre che si affollano nella mente tenendo il ragazzo in una continua oscillazione;
  • incanalare gli aspetti volitivi propulsivi e insistenti, cosi come al contrario la rinuncia totale per concretizzare l’idea, che nella propria mente è perfetta anche nella sua esecuzione, ma come tale non è reale;
  • la gestione frustrante dello scontro tra mondo ideale e il mondo reale, prendere atto, meglio prendere le misure sulle percezioni-supposizioni personali circa saperi, abilità e strategie, per superare l’illusione del tutto, subito e perfetto.

Una volta deciso cosa fare, serve un piano di azione strategico per la messa in atto dell’idea, un progetto. La proposta educativa sviluppata dall’équipe de Il Manto cerca di avviare a processi metacognitivi di regolazione tra psiche, pensiero interno e pensiero concreto. In tal senso educatore ed educando cercano modalità per aprire uno spazio mentale, per creare un vuoto che tiene in sospeso il pensiero in modo che possa concentrarsi su tutte le componenti di questa idea-pro-jecto, portandola  all’esterno da sé, ossia disegnando l’idea, smontandola nelle sue varie componenti, analizzando l’immagine da vari punti di vista, pianificando le azioni perché possano essere strategiche, facendo i conti con le convinzioni sulle abilità, sui saperi, sulla tecnica d’uso degli strumenti, materiali, sull’organizzazione, scegliendo strategie creative ritenute utili alla lavorazione della propria angoscia conflittuale nella lotta tra il narcisismo e il mondo concreto. Attraverso i vari problem posing e solving, è così possibile regolare il processo creativo della realizzazione di sé, nel prodotto, soprattutto grazie all’astinenza dei suggerimenti dell’educatore circa il come deve essere e il come va fatto, l’oggetto pensato.

 

  1. L’ottica laboratoriale: i 5 elementi essenziali

Educare implica un “ex-ducere”, ovvero un “tirar fuori”: creare le condizioni perché ciascuno possa far emergere il come è. Il processo educativo de il Manto si basa sull’idea di “educere” le strategie creative personali, come nella tradizione del laboratorio del Maestro Artigiano. Da qui il concetto di “ottica laboratoriale” così come sviluppato e sperimentato da Il Manto. Questo approccio risponde alla necessità di una educazione metacognitiva per una mente laboratoriale, per insegnare l’imparare a regolare gli impulsi vitali, che provocano ansia e risposte impulsive. Occorre trovare il modo di aiutare il ragazzo, pensato capace, di lavorare le sue ansie, nella gestione della sua oscillazione, perché possa essere una persona competente e auto poietica. Si promuovono momenti dove saperi, abilità, strategie – per lo più ingenui e frammentati – vengono disciplinati dai saperi scientifici e dal fare necessario alla mente perché possa interpretare il mondo e i fatti reali, per trovare soluzioni creative manipolando-sperimentando-pianificando strategie via via sempre più efficaci e utili a sedare l’ansia perché svelano le capacità avviandole verso funzioni esecutive efficaci e consapevoli. Gli stessi conflitti tra le istanze psichiche e le percezioni, vengono portati alla luce, monitorati, dibattuti criticamente nei momenti di auto-co-valutazione formativa. In tal senso, la regolazione della relazione educatore-educando vede il primo aperto a creare un vuoto mentale per accogliere l’altro, perché possa lavorare se stesso. È possibile identificare 5 elementi essenziali dell’ottica laboratoriale.

3.1 La scelta

È prassi della scuola attiva assegnare compiti, comportando per alcuni bambini l’impotenza appresa o la povertà educativa: davanti alla situazione, il soggetto in apprendimento è convinto di non poter fare nulla per controllarla o migliorarla, per cui non si mette in gioco trovando per sè mille giustificazioni: “lo so, non sono capace, è colpa di…”.

Vi è una differenza sostanziale tra l’assegnare un compito e attivare il bambino/ragazzo a individuare un suo compito delineato in quel contesto (Canevaro). Rovesciare questa condizione è lo scopo dell’approccio laboratoriale. Occorre infatti creare uno spazio di apprendimento relazionale per la messa in moto degli aspetti volitivi di un pensiero progettuale grazie al quale il bambino decida di scegliere un compito, il suo! (Mercadante, 2007).

Offrire uno spazio di pensiero progettuale significa portare all’esterno la propria idea, favorire la messa in gioco della responsabilità collegata alla presa in carico del compito scelto nell’esercizio dell’autonomia, legato alle personali convinzioni e al proprio potenziale. Inoltre, nello scegliere, una persona si assume la responsabilità organizzativa del suo lavoro (piani di azione legati alla consequenzialità delle proprie azioni), l’autonomia e la volontà di volere portare a termine la sua scelta, senza incorrere ad attribuzioni poste all’esterno da sè.

Alla base di questa cultura educativa vi è uno sguardo convinto di un bambino competente che possiede sue idee, saperi, abilità, strategie e capacità. Grazie a questo pensiero l’educatore predispone contesti relazionali di accoglienza e di apprendimento nei quali il soggetto si senta pensato e pertanto coinvolto ad investire le sue risorse e potenzialità nei compiti, sempre complessi, (complexus = abbracciare, comprendere), attivando il suo pensiero e le sue strategie, quindi, la sua motivazione e lavorazione di un pensiero in azione.

Il disorientamento cognitivo provocato dalla richiesta di scegliere che ne deriva contrasta con la modalità passiva dell’aspettare istruzioni, indicazioni di metodo e di strategie, è possibile invece cogliere informazioni nella propria testa, nei ricordi esperienziali e conoscitivi, nel materiale che ciascuno ha e quindi poter avanzare ipotesi. Risulta necessario rompere quella posizione in cui i ragazzi chiedono continuamente all’adulto cosa debbano fare, convinti che adeguarsi ai desiderata degli educatori-insegnanti sia farli contenti sottomettendosi (Finzi, 2009). Fuori dall’aula scolastica gli stessi bambini mostrano di non fare fatica a risolvere problemi di vita pratica. Risulta, quindi, di grande importanza attivare dinamiche di scelta da parte del bambino e del ragazzo, per far emergere il proprio pensiero riflessivo, il propri o orientamento naturale, i punti di vista, la propria personalità.

3.2 La progettazione

Scegliere, avviare un pensiero in azione nella costruzione di un ambiente di apprendimento significa promuovere una cultura della progettazione, tanto per l’educatore quanto per ogni studente, ossia generare e far generare idee, immaginare, mettere in moto pensieri, riflettere, alimentano la volontà e la consapevolezza rispetto a ciò che ognuno sa e sa fare o crede di sapere e di saper fare.

Nella fase progettuale infatti, l’educatore pensa allo scopo educativo-conoscitivo da condividere insieme ai ragazzi; “la scelta dello scopo è affidato all’adulto che, conoscendo il contesto e il funzionamento delle tappe di sviluppo infantile e  adolescenziale, individua in questo universo gli elementi (concettuali, affettivi, emotivi, valoriali) che hanno una valenza rilevante, li rapporta a categorie conoscitive complesse (nuclei fondanti) desumibili dai saperi disciplinari, definisce le essenziali via metodologiche (modelli di apprendimento e modelli disciplinari) da percorrere per rendere possibile e consapevole il passaggio dal terreno del vissuto a quello della formalizzazione cognitiva” (Mercadante, 2007).

Lo scopo viene comunicato ai ragazzi attraverso una domanda generativa. L’educatore esplicita il suo pensiero progettuale e professionale determinando il clima relazionale e sostenendo così ogni idea progettuale dei bambini. La mente laboratoriale – sia per l’educatore sia per ogni ragazzo – lavora su due prospettive:

  • una immediata, che porta alla realizzazione di un prodotto a partire dall’idea originaria presente nella testa dell’autore, alla sua scomposizione-ricomposizione di ogni elemento che la determina, alla pianificazione-revisione costante del mentre si opera (problem-posing, analisi critica, problem-solving), secondo l’approccio dell’artigiano;
  • una a lungo termine, che porta all’acquisizione implicita di un metodo scientifico auto-co-regolato quale messa in gioco della propria personale organizzazione del lavoro, della conoscenza, delle strategie, via via sempre più efficaci, secondo l’approccio del valore di ogni azione (auto-nomos, la regola in sé) [8].

3.3 Domanda generativa e teorie ingenue

Compito dell’educatore è quello di pensare a quali domande possano essere generative per presentare la propria idea di progetto. Spesso infatti gli adulti pongono domande retoriche, dove vi è già la risposta attesa/pensata e indotta nel bambino. Invece, La domanda generativa mette in moto pensieri, sollecita a riflettere, alimenta la consapevolezza rispetto a ciò che ognuno sa, sa fare, desidera o dubita. È il modo in cui, concretamente, lo scopo, quale ipotesi dell’insegnante/educatore, si traduce dando avvio alla costruzione dell’ambiente di apprendimento che accoglie tutte le varie possibili riposte, una panacea da cui emergeranno idee-progetti personali la cui lavorazione darà origine a un capo-lavoro.

Una domanda generativa si “presenta come inquietante, in quanto essa tende a collegare le problematiche personali al nucleo fondante della disciplina, e quindi sollecita il pensiero a generare ipotesi sulle quali intraprendere l’itinerario di ricerca” (Mercadante, 2007).

La domanda generativa è tale quando genera altre domande, fa intuire la complessità di una situazione problematica, attiva la ricerca, mette in contatto il bambino con le sue conoscenze-esperienze che quindi lo farà sentire capace di dare-avere un suo contributo. In questo modo si attiva una mente laboratoriale che negli atelier artigianali pone l’educatore e ogni ragazzo sullo stesso piano della ricerca scientifica, monitorando l’esercizio che ciascuno dei due fa delle proprie competenze agite e nel riconoscere saperi ingenui e disciplinari-scientifici esercitati alla sperimentazione pratica.

In questo lavoro è visto positivamente il principio dell’imitare/copiare per apportare variazioni alle proprie e personali lavorazioni. Tra i vari presenti, tra cui l’educatore, a differenza di quanto spesso si pensi, ci sono molti maestri da imitare; un contesto che permette di selezionare tecniche di lavorazione sostenibili per quello specifico ragazzo, congruenti alla lavorazione dei suoi bisogni interiori. Alla fine di questo processo emerge un risultato, già presente nell’idea di chi lo ha pensato, in quanto l’uomo utilizza da sempre il suo pensiero ereditato e le sue abilità quale connessione tra mente braccio e ambiente” (Mercadante, 2007).

L’ottica laboratoriale implica necessariamente il lavorare: il pensiero onnipotente dove tutto è possibile e bello, o viceversa, dove il ragazzo si misura mettendo a confronto la realtà della mente in azione con la realtà del mondo concreto e operazionale per prendere consapevolezza nell’interazione mente-emozioni-corpo-braccio-ambiente tra sè e gli altri.

L’educatore, attraverso lo scambio comunicativo accredita ad ogni ragazzo saperi, autonomia di pensiero e di azione e capacità di dare senso al proprio agire. È questo pensiero che determina un ambiente in grado di potenziare e gestire la regolazione delle tre dimensioni della persona competente: dimensioni conoscitive, operative ed emotivo-civiche di ciascun bambino, di sviluppare la capacità metacognitiva e la capacità organizzativo-progettuale, di promuovere la generalizzazione dei processi di apprendimento, personali e collettivi. Nello specifico questo approccio consente al soggetto di dover fare i conti tra ciò che è possibile nella sua mente (mondo ideale, “io lo so fare ”) e l’effettiva realtà e manualità (mondo reale, prendere le misure), nella gestione dei saperi e convinzioni personali.

3.4 Autocovalutazione e autocoregolazione

Nell’ottica di una valutazione formativa di potenziamento, ogni bambino nel suo gruppo è periodicamente chiamato a valutare il proprio modo di lavorare cosi come quello dei compagni presenti nell’atelier, attraverso indicatori concordati a monte, relativi alle tre dimensioni sopracitate, e con l’uso percettivo dei colori del semaforo che illustrano l’area di sviluppo personale tra il sé e l’altro da sè; si dà un giudizio contestualizzato sul proprio modo di lavorare: “verde” se si ritiene di aver attivato quel processo specifico; “rosso” se non si ritiene di averlo attivato, “giallo” se è presente saltuariamente. Quanto espresso come proiezione personale nell’autovalutazione, viene confermato o confutato dai pari e dagli educatori-insegnanti con riferimenti critici molto specifici sulla singola azione attraverso la co-valutazione. Il dibattito critico contestualizzato è molto importante ed è offerto dal gruppo: i compagni coinvolti e gli educatori esprimono pareri sulle singole azioni relative ai processi attivati o meno dall’autore. Ciò favorisce una presa di coscienza personale di ogni singolo partecipante, utile sia a una regolazione di sé, sia a una capacità argomentativo-critica basata su fatti, quindi senza giudizi di merito (Premoli, 2008); oltre ad affinare la capacità analitica del cogliere quanto veicolato dalle azioni. La riflessione personale data dalla visibilità dei dati consente di confrontare i propri risultati con quelli degli altri e ad ognuno di vedere, grazie alla rappresentazione grafica, dove si colloca rispetto agli altri e di comprendere i propri possibili sviluppi, cercando di imitare gli altri. In questo quadro di prossimità ognuno può percepire le proprie capacità, difficoltà e possibilità di miglioramento, decidendo su cosa è meglio per lui puntare.

3.5 Ripetizione e variazione e trasferibilità

Ultimo ingrediente: fare in mille modi diversi una cosa per possederla e trasferirla in altri contesti. Apprendere ha bisogno di tempo e di ripetizioni per –prendere le abilità al meglio . Imparare facendo in mille modi diversi la stessa cosa, regolando-padroneggiando consapevolmente strategie: flessibili, sempre più efficaci, generalizzandole. A volte vediamo negativamente il fatto che un bambino debba continuamente tornare su saperi che riteniamo appresi. In realtà la ripetizione-variazione permette la connessione di vari saperi, l’automatizzazione delle procedure e quindi la padronanza che il bambino stesso scopre di avere, rendendolo più sicuro e quindi più propositivo.

Così come il maestro artigiano e come lo scienziato, chi apprende aggiusta creativamente la mira e la tecnica, grazie alle teorie che disciplinano il concretizzarsi dell’idea. L’utilità dei saperi saputi, il sapere di essere competenti, insegnare a trasferire in altri contesti le capacità apprese, è il nuovo compito dell’educazione. Occorrono infatti gli automatismi delle abilità per liberare le energie implicate nelle memorie esecutive rendendole cosi disponibili al trasferimento di tali saperi in altri ambiti.

  1. L’analisi di un caso: Anna e il laboratorio di orto.

Presentiamo l’analisi di un caso, declinando i punti teorici in passaggi pratici.

4.1 La scelta

I bambini de Il Manto, circa 130, sono invitati all’inizio dell’anno ad esprimere 2 preferenze rispetto a diverse proposte di laboratorio, che variano ogni quadrimestre. Intorno al mese di ottobre e intorno al mese di marzo, consegniamo un elenco con le varie opzioni e con una crocetta i bambini indicano la loro prima e seconda scelta. Questo perché per attivare un laboratorio è necessario che sia scelto da almeno 3 bambini.

Anna e altri 9 bambini delle elementari di età trasversale, hanno selezionato il laboratorio di orto: in tal senso i bambini stessi hanno attivato il laboratorio, rovesciando così il clichè dell’adulto che decide per i bambini creando gruppi di lavoro invece che gruppi di interesse che si formano a partire dalla volontà dei bambini. In questo modo sono agite le condizioni perché ciascuno possa far emergere il come è, perchè coinvolto e quindi motivato.

Qui inizia la storia di Anna, che nel quadrimestre precedente, aveva partecipato al laboratorio di manutenzione.

4.2 La domanda generativa

Come favorire l’attivazione delle esperienze-conoscenze di ogni bambino? Durante il primo incontro, i bambini si aspettano che l’educatore gli dica cosa fare; invece, quando ci troviamo, poniamo loro la domanda generativa “Secondo voi, a cosa serve un orto? Qui l’educatore è importante che “regga” il silenzio, che non ceda a dare la propria idea, a riempire le loro menti. I bambini effettivamente, si ri-orientano, facendo emergere quelle che abbiamo chiamato teorie ingenue, che sono ricche di dati che i bambini pescano dalla propria esperienza e percezione del mondo, quella che davvero ci interessa.

Anna infatti risponde: «Per me un orto serve a sistemare piante rovinate, secche e a piantarne di nuove».

Si sottolinea il verbo ‘sistemare’ ripescato dall’esperienza del laboratorio precedente, conclusa un mese addietro. Il verbo ‘piantare’ è riconducibile ai saperi ingenui di Anna, che accompagneremo nell’incontrare la realtà del ‘piantare’, scomponibile in tantissime altre azioni: preparare, coltivare, misurare, ecc.,

In questa fase si condivide lo scopo del laboratorio: «Sappiamo quanta farina produce un metro quadro di orto piantumato a grano?».

“Come scopriamo tutti insieme, quanta farina possiamo produrre con un metro quadro piantumato a grano?”. Da qui emergono tante nuove domande-ipotesi: “Cos’è il grano? La farina come si produce? Quant’è un metro? E un metro quadro?” E così via.

Anna, come gli altri bambini, scoprirà il metro, il quadrato e il metroquadro, oltre ad altre nozioni che già facevano parte delle sue conoscenze; ora in modo nuovo, nella pratica, metterà le mani nella terra, letteralmente.

4.3 La Progettazione

Si pongono le domande esplicative, ovvero domande che cercano di accompagnare a trovare delle possibili spiegazioni: “Cosa serve a un seme per crescere?; Come si fa a progettare un orto?”. Durante un sopralluogo del posto, Anna misura il terreno che ci è stato messo a disposizione, e le chiediamo di ridurre in scala quanto misurato in modo da riportare le misure su un foglio a quadretti; come gli altri bimbi del suo gruppo, sorprenderà gli educatori, perché il concetto di riproduzione in scala, molto complesso, le verrà naturale.

Anna, alla domanda esplicativa “Come si fa a progettare un orto?”, pianifica con carta-matita, rileva il luogo, riduce in scala 1/10 la superficie, suddivide il terreno in prode e camminamenti, calcola le distanze tra un seme e l’altro. In sintesi, realizza la sua proda di 1 metroquadro usando/disegnando un metro lineare, un quadrato, il perimetro, la superficie, nel suo continuo revisionare criticamente coi compagni.

Ecco che l’idea ingenua che Anna aveva:

  • Sistemare le piante e piantarne di nuove, non è stata confutata, bensì declinata e ri-ordinata attraverso le fasi di pianificazione del lavoro (misurazione, riduzione in scala, ecc) e di realizzazione-revisione dello stesso

Alimentata dalla propria volontà, ha portato a consapevolezza ciò che Anna

  • Sapeva, come sapere ingenuo ed esperienziale, ora supportato da un sapere più scientifico perché condiviso;
  • Sapeva come fare, passando dal livello implicito lo so fare, a quello esplicito della revisione critica, dibattuto e condiviso.

Anna ha dovuto fare i conti con degli intoppi della revisione: il metro, se non lo tiene un compagno dall’altra parte, si richiude da solo, oppure se non rispetti le misure prese, la riduzione in scala non combacia sulla carta, e ancora, le misure vanno prese nuovamente? Oppure è un errore di scrittura?

Questo è il lavoro più faticoso: spesso Anna ha buttato via il foglio, lo ha stracciato, o si è rifiutata di riprendere le misure, mettendo il muso……Oscillando quindi tra “lo voglio fare” e il “non è come lo avevo pensato, lo voglio fare e basta, senza pianificare!”

Poco a poco quindi, si trova a fare i conti con un aspetto di sé che interferisce con il lavoro: Anna si misura con la realtà per prendere consapevolezza dell’interazione mente-emozioni-corpo-braccio-ambiente esterno. Qui si è orientato maggiormente l’intervento dell’educatore che ha resistito alla tentazione di sostituirsi facendo il lavoro per lei, in tal modo le avrebbe confermato la sua incapacità progettuale. Ha dovuto sostenere e attendere, pensando che comunque Anna avrebbe superato la sua prova

4.4 Autocovalutazione e autocoregolazione

Ogni bambino esprime una valutazione sul proprio modo di operare e sui propri saperi (auto-valutazione) successivamente confermata o confutata con fatti rilevati da tutto il gruppo (co-valutazione). La registrazione del modalità di giudizio critico è quella già esposta in precedenza: “verde” se si è attivato quel processo specifico; “rosso” se non è stato attivato, “giallo” se è presente saltuariamente. Quanto espresso va sempre motivato, creando un dibattito, spesso molto complesso, che, tra i suoi vantaggi, ha la possibilità di sviluppare il pensiero critico di ciascuno e la competenza di argomentare, aprendo delle sfide molto interessanti per i bambini, anche per Anna.

Concentriamoci sull’indicatore dell’ascolto dell’altro: per Anna la sfida è stata riuscire ad attivare questo processo. Inizialmente il gruppo le ha fatto notare, proprio come lei stessa riconosceva, di non riuscire spesso ad ascoltare I coetanei e gli adulti. Al termine del laboratorio, il gruppo le ha rimandato il fatto di non aver lavorato su questo indicatore. Qui si è venuto a creare il presupposto perché Anna potesse o meno cogliere l’occasione di crescere su un tema educativo per lei fondamentale. Tema non collegato direttamente con l’orticoltura, ma che comunque è un presupposto trasversale a qualsiasi ambito di vita.

4.5 Ripetizione, variazione e trasferibilità

Ultimo punto ma non meno importante prende il via proprio dalla trasversalità di una dimensione della competenza, quella emotivo-civica connotata in questo contesto dall’indicatore “Ascolto dell’altro”.

Per Anna è cominciato un percorso in cui ‘sistemare’ qualcosa del proprio pensiero che lei stessa riconosce, dicendo a un educatore: “forse ascoltare gli altri mi conviene”. Ad Anna conviene eccome, anzi, in un colloquio con le insegnanti, emerge come anche per loro l’ascolto si tratti di un punto fondamentale per la bambina. A scuola la descrivono “in ansia, si blocca su questioni semplici e ci pone domande senza ascoltare le risposte”.

Insieme ai docenti abbiamo condiviso una strategia, quella di evitare di dare ad Anna delle risposte, piuttosto di rimandare le stesse domande al mittente. Anna, nei mesi trascorsi durante il laboratorio ha potuto lavorare su un processo di ascolto sia nel contesto scuola, che nel contesto dei pari durante il laboratorio. Ecco il “fare in mille modi diversi una cosa per possederla”, basta metterla a fuoco!. Anna ha poi trovato il modo di “trasferirla in altri contesti” con un educatrice nuova al metodo. Ad oggi ha ottenuto la licenza elementare e, nel periodo precedente il lockdown, aveva messo a punto un proprio auto-monitoraggio per vedere ricadute o attenzioni a questo suo atteggiamento, cos^ Anna ha deciso su cosa  lavorare: sta imparando ad accettare che un suo difetto è faticare ad ascoltare gli altri, e si è messa al lavoro!

5 L’ottica laboratoriale alla prova del lockdown

L’introduzione della didattica a distanza è ampiamente dibattuta oggi ed è effettivamente una faccenda che vale la pena approfondire: da un lato ci sono le preoccupazioni per la mancanza di relazione, poi quelle per la troppa esposizione dei bambini al video, per non parlare della fatiche dei docenti che si sono trovati con il lavoro completamente stravolto. Rilevante è la mancanza dei feedback dato che con lo strumento informatico viene a mancare o comunque è fortemente ridotta e fortemente mediata la possibilità dell’interazione, di cogliere le reazioni, le sfumature dell’altro; c’è chi sostiene che abbiamo fatto grandi passi avanti in poco tempo e che si è dimostrata l’efficacia dell’insegnamento a distanza. Tra l’altro esistono studi e letteratura sulla Blended Learning, che combina il metodo tradizionale (e si parla per tradizionale di “frontale”) in aula, con attività mediata dal computer (ad esempio e-learning, uso di DVD, ecc.) o da sistemi mobili (come smartphone e tablet). In questi studi si parla di una certa pervasività delle tecnologie, associandola alle ricadute negative sulla qualità della vita delle persone, sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista socio-emotivo. In altre circostanze, può verificarsi un maggiore utilizzo della tecnologia all’interno dell’aula. Attività possono essere strutturate con l’accesso a risorse online, comunicazione via social media o l’interazione con gli studenti a distanza in altre aule o in altri ambienti di apprendimento.
Ci sono diversi approcci all’apprendimento blended e può assumere molte forme, a seconda degli insegnanti e degli studenti coinvolti. Ciò che è stato perseguito da il Manto in questa occasione formativa è di ripercorrere il metodo dell’ottica laboratoriale. Sono cambiate le forme-i tempi-gli spazi delle attività ma non l’intenzione che ci muove e gli obiettivi di crescita sui ragazzi. La povertà educativa come l’impotenza appresa dei minori è fatta di molte facce, non si tratta solamente di mancanza di competenze disciplinari ma anche di life skills, opportunità ricreative-culturali, accesso a luoghi che facciano crescere e favoriscano le relazioni: i bambini non avevano bisogno solo di supporto allo studio, ma di presenza. Portare avanti una proposta educativa, che ha un metodo interamente basato sulla presenza, a distanza ha portato con sé evidentemente delle difficoltà ma la chiave di questo momento storico è non considerare le circostanze come qualcosa da tamponare, necessariamente negativo, piuttosto come un’opportunità di creare una proposta dai nuovi profili sperimentando come cambia il metodo.

Ripercorrendo i 5 punti, si evidenziano aspetti di forza e criticità…

  • La questione della scelta: abbiamo già detto che abbiamo a che vedere con i processi volitivi, collegarsi spontaneamente. Questa è innanzi tutto una scelta dell’educatore, che si rende disponibile all’attesa, che si pone e pone questioni accattivanti e aperte in modo che ciascun bambino scelga il suo fare, il cosa-come studiare, approfondire, condividere.
  • Domanda generativa: uno dei punti che necessitano di maggiore condivisione da parte della comunità educante, degli adulti che pensano a ciascun bambino e si integrano reciprocamente nel gruppo dei colleghi e nell’intera comunità.
  • Progettazione e monitoraggio passo passo dei processi. Sicuramente con l’utilizzo dello strumento informatico è necessaria una dilatazione dei tempi, ma è anche possibile avere accesso a strumenti di registrazione, o meglio di narrazione e revisione dei processi, paradossalmente più puntuale.
    La segmentazione da un lato è più articolata, dall’altro la possibilità di registrare/fotografare, fermarsi a documentare può essere di grande aiuto.
  • Auto-co-valutazione: fattore tempo, osservazione differita nel tempo, contatto con i pari non solo in presa diretta, ma con lo strumento del “rivedersi”. Qui l’elemento di percezione del se è forse quello più difficile da far emergere nel lavoro a distanza.
  • Ripetizione e variazione: anche qui la fatica ha due derive: il non s’impegna abbastanza, oppure se un insegnate ha a cuore i ragazzi, quella di non cadere nella tentazione della continua novità, e in questo il web non aiuta. C’è sempre, come anche nei metodi educativi tradizionali, l’idea di dover catturare l’attenzione dei bambini con qualcosa di nuovo ed accattivante. Il punto è invece far emergere da loro, ciò che per ciascuno di loro è nuovo ed accattivante.
  • Artigiano/artigiani e scelta del copiare: non è solo la semplice ripetizione di un gesto ma è l’attivazione di un desiderio, di qualcosa di proprio di ciascun bambino che osservando lo svolgersi di un sapere custodito nel maestro o nei pari, decide, più o meno consapevolmente, di voler far suo quel gesto, quell’azione, quel modo di incidere nella sua realtà quotidiana, riproponendolo, variandolo e ripetendolo. Si scopre, così, soggetto capace non solo di incidere, contribuire alla realtà che vive in modo attivo, ma soprattutto capace di pensare.

Cogliere ed osservare dove ciascun bambino è e dove potrebbe arrivare, far emergere dalle pieghe delle sue azione e delle sue parole quelle immagini, diremmo più tecnicamente le rappresentazioni, che quel singolo bambino ha rispetto al quesito, al problema, alla situazione che si trova ad affrontare.

Il Manto, in sintesi, non si è fermato per un motivo che sta al di sopra della didattica: condividere la passione per ogni uomo e la passione per il lavoro di relazione. Per questo Il Manto si prende cura dei propri educatori, formandoli perché credano, e utilizzino ogni strumento a disposizione per sviluppare un pensiero nutritivo per sè e per i bambini. La sfida vera è come lavorare sulla posizione dell’educatore e dell’insegnante, quali competenze sviluppare e come sostenerli nel coltivare spazi di pensiero per ciascuno dei bambini a loro affidati. Perché nonostante lo strumento digitale, si sono aperte occasioni nuove di stare con i bambini, di stare con ciascuno di loro, di fare spazio a ciascuno di loro. Oggi osserviamo che è possibile.

BIBLIOGRAFIA

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  • Finzi S. (2009) La cura bastarda, Napoli, Filema.
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Pubblicato da Paolo Nardi

Dr Paolo Nardi is International Affairs and Research Officer at Cometa VET Centre (Italy) and Coordinator of the UNESCO-UNEVOC Centre for Italy. Co-opted Board Member of VETNET (association of researchers in VET). Fellow at PlusValue. Board Member of the Journal Economics and Policy of Energy and the Environment. Degree in Public Administration and International Institutions and PhD in International Law and Economics at Università Bocconi; MA in Public Policy at Brunel University London. His research interests shifted from human geography (namely: non profit, social innovation and community development) to education and training, namely innovations in pedagogy and life skills.

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