Dall’Alternanza all’Integrazione Scuola-Lavoro. La scuola nel XXI secolo

I sistemi di alternanza scuola-lavoro, il work-based learning in generale, sono oggi proposti come una delle strade maestre per il necessario cambiamento del sistema educativo. Se da una parte ciò sembra portare effettivamente risultati incoraggianti, restano alcuni limiti che maggiormente emergono nei Paesi dove i modelli work-based sono da più tempo sperimentati: in particolare la giustapposizione tra apprendimento a scuola e apprendimento professionale. Rispondere in maniera efficace a queste criticità, salvaguardando il valore di un approccio complementare tra scuola e lavoro, ha portato Cometa Formazione a implementare un modello didattico nuovo, la Scuola-Impresa, che genera una effettiva integrazione scuola-lavoro grazie a un processo di apprendimento transdisciplinare: il reality-based learning.
(Articolo a cura di Laureen De Palma, Paolo Nardi, Marianna Nicotra e Barbara Robbiani, per la terza edizione de “La Via Italiana alla Social Innovation. L’Integrazione Scuola-Lavoro)

1. L’emergere di skills mismatch e skills shortage

La crisi economica in atto iniziata nel 2008, ha generato un cambiamento nel mercato del lavoro caratterizzato da complessità, precarietà, difficoltà di ingresso soprattutto per i giovani. Il suo primo e più immediato effetto è stato infatti la drastica impennata del tasso di disoccupazione giovanile, passato da una media intorno al 25% nel periodo 2004-2011, a livelli che già a giugno 2012 superavano il 35%, per sfiorare due anni dopo il 44% – una soglia, che rappresenta di gran lunga il massimo storico del Secondo Dopoguerra. Dopo una breve ripresa all’inizio del 2016 in cui è ridisceso al 38%, risale a dicembre superando quota 40%.
Come evidenziato da CEDEFOP nel report “Skill shortages and gaps in European enterprises”, l’aumento della disoccupazione convive con la difficoltà di quasi il 40% delle aziende europee di trovare profili idonei (2015). La stessa Commissione Europea stima che entro il 2025 quasi il 50% dei nuovi posti di lavoro richiederà qualifiche di alto livello e circa il 40% qualifiche di poco inferiori; solo l’11% richiederà nessuna o scarse qualifiche. In ogni caso alcune competenze in ambito digitale e informatico, così come le competenze trasversali (problem solving, teamwork, comunicazione) saranno decisive (CEDEFOP, 2015); l’inchiesta Eurofound rivela che oggi meno del 60% dei lavoratori europei (65% in Italia) dichiara di avere le competenze in linea con il proprio lavoro, mentre il 15% richiede maggiore formazione (CEDEFOP, 2017).
Figura 1: lavoratori e percezione delle loro competenze

Fonte: Eurofound, European working conditions survey (CEDEFOP, 2017).
La disoccupazione giovanile, collegata sempre più a skills mismatch e skills shortage, è un male non solo economico ma anche culturale, con una grande incidenza anche psicologica sulle nuove generazioni. Per molta della letteratura attuale una delle soluzioni è ripensare la scuola come un luogo che fornisca competenze valide per un mondo del lavoro sempre più competitivo e complesso. Quello che si richiede alla scuola è di avvicinarsi al mondo dell’impresa, dialogare con esso, per comprendere che cosa sarà richiesto agli studenti di oggi per essere i lavoratori di domani. Il sistema educativo tradizionale sperimenta oggi una grave separazione dal mondo reale e fatica a introdurre i giovani in esso. In particolare occorre aumentare la capacità della scuola di proporre una didattica che parta dal rapporto con la realtà del mondo del lavoro. In tal senso, “portare il lavoro a scuola” e “la scuola nel mondo del lavoro e nella vita reale” rappresenta la strada maestra per affrontare le sfide del XXI secolo.
I sistemi di alternanza scuola-lavoro, il work-based learning in generale, sono oggi proposti come una delle strade maestre in questo cambiamento del sistema educativo. Se da una parte ciò sembra portare effettivamente risultati incoraggianti, restano alcuni limiti che maggiormente emergono nei Paesi dove i modelli work-based sono da più tempo sperimentati: in particolare la giustapposizione tra apprendimento a scuola e apprendimento professionale. Rispondere in maniera efficace a queste criticità, salvaguardando il valore di un approccio complementare tra scuola e lavoro, ha portato Cometa Formazione a implementare un modello didattico nuovo, la Scuola-Impresa, che genera una effettiva integrazione scuola-lavoro grazie a un processo di apprendimento transdisciplinare: il reality-based learning.

Le radici di un cambio di paradigma socio-economico
Il contesto internazionale attuale e prospettico è caratterizzato da molteplici sfide di natura demografica, socio-economica e tecnologica, che porteranno a sostanziali cambiamenti nei modelli di vita e di lavoro (OECD, 2016; World Economic Forum, 2016a). L’invecchiamento della popolazione avrà un impatto significativamente negativo sulla crescita economica Europea, affrontabile grazie a un miglioramento della produttività e delle competenze dei lavoratori (EC, 2016; CEDEFOP, 2016). La competizione su scala mondiale ha già determinato una crisi di molti mercati locali e delle rispettive imprese, soprattutto, nel caso italiano, delle PMI. Infine, la tecnologia sta modificando continuamente gli stili di vita inclusi i consumi, i modelli produttivi, il mercato del lavoro: introducendo lo Human Capital Report, il portavoce del World Economic Forum, Schwab, afferma che: “The Fourth Industrial Revolution will lead to profound shifts across all industries, reshaping production, consumption, transportation and delivery systems, among other factors. At the same time, the very nature of work is changing, in part due to new technologies and their subsequent impact on business models, and in part because of new platforms that allow talent to connect to markets in wholly new ways. Managing these transitions for optimal outcomes for our societies will require visionary leadership and a wide range of new knowledge and skills. The development of relevant talent will determine whether we all partake in the opportunities of the Fourth Industrial Revolution or experience its disruptions as bystanders. Much as these new technologies are disrupting labour markets, they also provide the potential to change how we learn throughout our lifetimes, how we educate the next generation and how we re-train those that are facing declining returns to their skills.” (World Economic Forum, 2016b, p. v).
Il rischio di un forte aumento di skills mismatch e shortage è enorme, con potenziali ricadute economiche rilevanti: si stima un impatto negativo sul PIL dei paesi OECD pari allo 0,47% e una perdita di oltre 150 miliardi di dollari (OECD, 2017). Nell’era dell’industry 4.0 e dell’internet of things, il futuro lavoro del 65% dei bambini che iniziano la scuola oggi non esiste ancora, e probabilmente offrirà beni e servizi per i quali oggi non esiste neppure una domanda (World Economic Forum, 2016a). Sono solo alcuni esempi di quello che ormai è definito come un cambiamento d’epoca verso una nuova fase che Hans Van der Loo, ex vicepresidente di Shell, nel corso dello European Business Summit a Brussels nel maggio 2016, ha definito Antropocene: “Today we are educating our young for jobs that do not yet exist, in order to solve problem we are not yet even aware of. Only few seem to be aware of the exponential reality [Bartlett, 2007] and we seem to think we can tackle 21st century challenges with 20th century education”. L’innovazione è, oggi più che mai, un elemento chiave per la sostenibilità della società futura (Chatzichristou, 2017), in particolare in termini di educazione e formazione professionale. Formare con le giuste competenze diventa cruciale.
Nella recente EU New Skills Agenda, la Commissione richiama infatti come le competenze siano “a pathway to employability and prosperity. With the right skills, people are equipped for good-quality jobs and can fulfil their potential as confident, active citizens. In a fast-changing global economy, skills will to a great extent determine competitiveness and the capacity to drive innovation. They are a pull factor for investment and a catalyst in the virtuous circle of job creation and growth. They are key to social cohesion”. Inoltre, “Skilled workers are more likely to be employed and are more productive than unskilled ones. Besides the direct impact that knowledge (know what) and competences (know how) has on the work output: skills can affect productivity growth also by promoting the transfer of knowledge and the mobility between universities, research institutes, firms, industries and countries; by developing absorptive capacity so that firms can better innovate or adopt best practices; and by promoting mobility of skilled workers to disseminate innovative ideas and knowledge of processes. In addition to its direct contribution to growth, human capital has indirect effects as well, by stimulating the accumulation of other productive inputs (e.g. physical capital, technology or health) which in turn foster growth” (2016). Le priorità individuate dalla Commissione (per una rassegna più ampia: Nardi, 2017) sono pertanto:

  • Improving the quality and relevance of skills formation;
  • Making skills and qualifications more visible and comparable;
  • Improving skills intelligence and information for better career choices.

In un’ottica più ampia e di lungo periodo, il World Economic Forum individua 3 obiettivi da perseguire:

  1. Ripensare i sistemi educativi, superando le dicotomie “humanitas vs. scienze”, “teoria vs.pratica”, “titolo vs. reale contenuto della formazione”.
  2. Incentivare sistemi di formazione continua (lifelong learning), favorire lo sviluppo di growth mindset e l’attitudine a “imparare a imparare”.
  3. Maggiore collaborazione pubblico-privato e cross-sector in un’ottica di co-sviluppo (2016a).

Dalla scuola deve perciò partire il cambiamento di paradigma finalizzato a un “whole-school approach, to harness the motivation and commitment of all pupils and students, to develop their critical thinking and to improve their educational attainment in general. It fundamentally concerns the way we think about our complex world and the way we behave, so that people respond effectively and confidently to current and new challenges. […] It requires interdisciplinary learning, new knowledge, skills and attitudes, creative thinking, innovation and a long-term perspective” (European Political Strategy Centre, 2016).
La rivoluzione di metodi e contenuti richiesta oggi al mondo della scuola e della formazione professionale è di grandissima portata: non solo trasmettere competenze professionali, ma anche trasversali, oltre a un cambiamento di mindset nei ragazzi (sySTEMic thinking, secondo Van der Loo). Il richiamo del Direttore di ETF, Madlen Serban, a preparare i giovani non ad una professione ma ad una carriera è una sintesi perfetta del compito della scuola, ma anche di tutti gli stakeholders del mondo educativo e formativo (VET Week 2016). In questo processo, naturalmente, non può essere trascurata la cura dell’alfabetizzazione, anche numerica, (literacy e numeracy): circa il 20% dei ragazzi Europei sotto i 15 anni registrava una scarsa alfabetizzazione nel 2005; la percentuale è invariata nel 2015 (EliNet Conference 2016). A distanza di dieci anni, le Raccomandazioni del Parlamento Europeo e del Consiglio (2006) in particolare sulla necessità di aumentare il tasso di alfabetizzazione in Europa restano attuali.

2. Il valore dell’alternanza scuola-lavoro

Sono numerosi gli studi (Lucas et al., 2013) che mettono in evidenza il valore di una formazione professionale adeguata per rispondere alle difficoltà dei giovani nell’inserirsi nel mercato del lavoro, in particolare evidenziando il ruolo dell’apprendimento in situazione, a contatto con obiettivi e strumenti del lavoro “vero” (Tobys et al., 2017). Una delle azioni sulle quali la EU New Skills Agenda si è concentrata è infatti lo sviluppo e la diffusione del work-based learning come modalità più efficace per rispondere all’attuale skills mismatch: la sua diffusione, come dimostra il grafico successivo, non è ancora ampia, in particolare in Italia (dati 2014):
Figura 2: percentuale di studenti nel work-based learning sul totale degli studenti di scuola secondaria superiore

Fonte: Eurofound, European working conditions survey (in CEDEFOP, 2017).
L’OECD (2010) elenca alcune attività che rientrano nella casistica dell’apprendimento in situazione:

  • Lo job shadowing, dove lo studente impara a lavorare e matura una competenza seguendo e osservando un esparto al lavoro.
  • Il service learning, pensato generalmente come occupazione su base volontaria durante la quale lo studente offer un aiuto e in cambio guadagna esperienza.
  • Lo stage (internship), durante la quale (qualche settimana o qualche mese) lo studente si reca nel posto di lavoro con obiettivi e compiti precisi da svolgere.
  • L’apprendistato e il sistema duale, di durata anche pluriannuale, durante il quale lo studente svolge le sue mansioni come un dipendente.

Meno diffusa e meno studiata è la forma del patronage (Tobys et al., 2017): una collaborazione tra scuola e impresa nella quale un’intera classe, patrocinata (e co-selezionata) da un’azienda, viene formata sia a scuola che nell’azienda stessa, per poter poi, in caso di successo formativo, essere inserita al termine del percorso scolastico, all’interno dell’azienda stessa come personale dipendente.
La risposta italiana alle richieste europee ha visto l’alternanza scuola-lavoro protagonista di una serie di riforme al centro, ancora oggi, del dibattito nazionale. L’alternanza scuola-lavoro, come concetto stabilito legislativamente, viene introdotto per la prima volta grazie all’articolo 4 della legge del 28 marzo 2003, n.53, in cui l’idea è quella non di inserire un nuovo strumento “scolastico” ma inaugurare una nuova metodologia che, attraverso momenti di aula, laboratori, esperienze lavorative, permetta di unire mondo della scuola e mondo del lavoro, tema ampliamente ripreso con il documento La Buona Scuola del Governo Renzi. La legge 107/2015 prevede i percorsi di alternanza scuola-lavoro per gli istituti tecnici e professionali, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studio, attuabili anche nel periodo di sospensione delle lezioni, di almeno 400 ore. Il fine è quello di incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti (art. 33 legge 107/2015).
L’alternanza scuola-lavoro è considerata una modalità di apprendimento in situazione che si propone oltre allo scopo di favorire l’acquisizione delle competenze professionali richieste dal profilo formativo, quello di rappresentare un’ occasione di orientamento, di crescita e maturazione personale per ogni singolo allievo.
L’alternanza diventa così un modo nuovo di intendere l’istruzione in cui l’attività didattica non si svolge solamente fra le mura dell’istituto scolastico, ma lo studente è chiamato a misurarsi con realtà diverse da quelle a cui è abituato ed entra in contatto diretto e personale con il mondo del lavoro che gli permette e gli dà l’opportunità di confrontare, misurare, sperimentare e accrescere le competenze acquisite in ambito scolastico restituendone il significato e il valore.

Il framework teorico di riferimento
La teoria pedagogica di riferimento per le forme di work-based learning è certamente quella dell’experiential learning, che vede la riflessione sull’azione come modo di conoscere del professionista che guarda se stesso in azione per comprendere e migliorare la logica dei suoi atti. La pratica riflessiva è quell’insieme di metodologie che assumono la riflessione come mediatore per il conoscere l’esperienza ma anche per la costruzione di un sapere che viene dall’esperienza (tra gli altri, cfr. il pragmatismo di Dewey, l’epistemologia della pratica di Schön, l’apprendimento esperienziale di Kolb).
Secondo Eraut et al. (2001), il contesto in cui si svolge il processo di conoscenza contribuisce all’apprendimento, costituendo un “reflective practicum” (Schön, 1987), vale a dire una vera e propria comunità di pratica (Lave e Wenger, 1991; Wenger, 1998), dove sviluppare non solo competenze professionali ma anche un senso di appartenenza e identità (Hagen e Streitlien, 2015), imparando attraverso l’ascolto, lo sguardo, la riflessione, la pratica, inclusi gli errori (Eraut, 2007). Un elemento fondamentale per lo studente è certamente quello di poter contare su un mentor, un Maestro, da cui imparare ed essere stimolati, sfidati e guidati nel processo di apprendimento (Connor e Pakora 2007; Eby 2007; Hagen e Streitlien, 2015).
Si riconosce ormai che l’apprendimento può avvenire in ogni ambito dell’esistenza e che l’ambito lavorativo, in quanto mette alla prova, costringe a stare davanti a problemi e a trovare soluzioni; è un ambito privilegiato per acquisire conoscenze e abilità in situazioni, e quindi a rendere competenti. Diversi pedagogisti, nel corso del secolo scorso e nei primi anni di quello attuale, hanno espresso un giudizio positivo sul valore formativo che le attività lavorative possono esercitare sugli studenti.
L’esperienza che Pestalozzi realizza a Stanz, apre nella storia della pedagogia occidentale, al valore educativo del lavoro, capace di esprimere i tre aspetti della persona: mano, mente e cuore. Descrivendo il setting di lavoro ideato da Pestalozzi, Meireu (1995) afferma che, “per quanto possa parere inusuale osservare tutti questi ragazzi, di età diversa, affaccendati intorno a compiti concreti e molteplici, si tratta pur sempre di una scena meno inquietante di quella di un’aula con i banchi schierati verso la cattedra […] che dovrebbero avere come compito quello di ascoltare il docente che interroga i compagni, ascoltare il docente che spiega il nuovo argomento, ascoltare le indicazioni per fare i compiti assegnati sul nuovo argomento, ascoltare, ascoltare, ascoltare”.
Nel laboratorium non esiste “pensare teorico” senza “fare tecnico” e senza “agire pratico”; l’astratto e il concreto si “meticciano” in continuazione. Non si esercita sempre e soltanto una riflessione intellettuale di secondo grado, fondata sul libro, sulla parola scritta, che ha come unica destinazione la comprensione teorica; ma la riflessione ha sempre la possibilità di essere posta, pensata e vissuta come problema, come progetto personale, come fare e agire consapevoli che diventano, in questo modo, fini autonomi dell’azione educativa e non semplici situazioni utilizzate a servizio occasionale e strumentale del sapere teorico. A tal proposito Bertagna (2006) sottolinea l’importanza, ai fini dell’apprendimento, del fare esperienza come unica possibilità perché il sapere non sia slegato dal concreto ambientale e sociale. In questa fase la consapevolezza nell’apprendimento è il punto in cui si sviluppano nuovi scenari nella mente dell’allievo, come ben delineato da Pellerey (2006).
In conclusione, per evitare uno scollamento della scuola dalla società non è necessario un adattamento della scuola al lavoro ma “un’azione che la scuola deve svolgere per preparare le nuove generazioni alla vita sociale e professionale futura” (Roncalli, 2003). Bertagna (2012), in proposito, afferma che:
“si deve prendere atto di un dato, al di là di ogni valutazione dello stesso: è finita l’epoca in cui, prima, ci si preparava a svolgere un lavoro e, poi, dopo la fase della preparazione, si esercitata questo lavoro, magari per l’intera vita. […] È indispensabile “apprendere lavorando” e, reciprocamente, “lavorare apprendendo”, la dimensione professionale non può e non deve essere l’unica ed esclusiva qualificazione di ogni persona e della sua ricchezza personale, sociale e culturale, ma deve integrarsi con tutte le altre che la contraddistinguono. Ecco perché non è più possibile ragionare in termini di scuola intesa come “preparazione ad un lavoro”, che fra l’altro non si incontra mentre si studia, e di lavoro, concepito come esperienza alternativa alla scuola. I due momenti o stanno insieme o, viceversa, si danneggiano a vicenda”.

3. Una formazione professionale efficace?

Il work-based learning, e il modello italiano di alternanza scuola-lavoro, offrono certamente una grande opportunità formativa in linea con le esigenze future in termini di competenza, anzitutto perché rappresentano un ponte, una facilitazione, per i giovani ad affacciarsi al mondo del lavoro (Van der Velden et al., 2011). I dati sull’occupazione degli ex studenti della formazione professionale in Europa sono incoraggianti:
Figura 3: tasso di occupazione nei giovani (20-34 anni) educati in un percorso VET

Fonte: Eurofound, European working conditions survey (in CEDEFOP, 2017).
Non basta tuttavia l’introduzione del modello, perché esso sia efficace rispetto al suo scopo: la formazione e le varie forme di alternanza richiedono alcune condizioni perché siano contestualmente soddisfatti sia i bisogni degli studenti sia quelli degli operatori del mondo del lavoro: il contemperamento di questi interessi rappresenta una sfida (Akkerman e Bakker, 2011; Billett, 2007) che presenta alcuni rischi rilevanti:

  • la scarsa qualità della formazione in azienda;
  • la mera giustapposizione tra materie curriculari e materie professionalizzanti;
  • la mancanza di nesso tra scuola e azienda nella definizione dei bisogni formativi.

Qualità dello staff e della formazione
Il ruolo dello staff aziendale incaricato della formazione è essenziale. Lo staff non deve solo svolgere la propria mansione coinvolgendo lo studente, ma avere in mente che il ragazzo deve apprendere (Tobys et al., 2017). In questo senso, il mentor, come anticipato, assume un ruolo decisivo (Hagen and Streitlien 2015): il suo ruolo di formatore (e di educatore!) si gioca in tutta la sua personalità, non solo nella dimensione professionale, in quanto la conoscenza può passare spesso in maniera implicita, quasi osmotica, nella testimonianza del lavoro quotidiano delle mani e del pensiero. La complessità di svolgere in maniera adeguata questo compito può essere acuita dal fatto che gli studenti, date le loro caratteristiche personali e i differenti livelli di competenza raggiunti, possono richiedere metodi e strategie diverse, che il mentor deve attentamente valutare, magari supportato dalla scuola. Per questa ragione è decisiva la presenza di servizi di counselling e orientamento attraverso il supporto di coach e tutor scolastici (Cervellera, 2016; Tobys et al., 2017). Naturalmente un contesto come quello aziendale, ricco di sfide e compiti, spesso imprevisti, può costituire un’ulteriore criticità: se da un lato la gestione delle emergenze aiuta la maturazione di soft skills, dall’altra rischia di rendere poco organizzato e sistematico l’aspetto della formazione, rendendo spesso difficile per le aziende mettere a disposizione figure formative per tempi prolungati (Billett, 2003).

Azienda e scuola, materie curriculari e professionalizzanti: una mera giustapposizione
Uno dei rischi più rilevanti per i sistemi duali e di alternanza è quello di ridursi a una mera giustapposizione tra la dimensione school-based della formazione (con le materie corrispondenti) e quella work-based. Un rischio che si concretizza anzitutto nella mancanza di coerenza tra i contenuti sviluppati a scuola e quelli maturati nel mondo del lavoro (Aakernes, 2016), spesso determinato da una mancanza di dialogo tra scuola e azienda e dall’assenza di una seria e costante (annuale?) analisi dei bisogni del mercato (Hiim, 2015). Gli studenti pertanto ritengono l’apprendimento delle materie curriculari come qualcosa di noioso (Hagen e Streitlien, 2015) e non utile (Rintala, 2016); talvolta, anche per la mancanza di tempo per lo studio personalizzato e per i compiti, le materie curriculari sono giudicate meno rilevanti, rispetto al perseguimento degli obiettivi di lavoro che l’esperienza in azienda richiede, e quindi trascurate.
La differenza culturale, di contesto e di esperienza porta gli stakeholder di scuola e azienda a una diversità di vedute che non aiuta il successo della formazione (Aakernes, 2016; Andersson et al., 2015; Billett, 2011; Young, 2004). Utile, a questo proposito, sarebbe anche un lavoro di convergenza più regolare tra i soggetti della scuola (tutor e insegnanti) e quelli dell’azienda, per concordare non solo gli obiettivi, ma anche i criteri di valutazione della formazione e delle competenze.

4. L’integrazione scuola-lavoro in Cometa

I sistemi work-based, per quanto emerso, non sono mai sic et simpliciter efficaci. Due necessità emergono con chiarezza dalle sezioni precedenti:

  • passare da una logica di alternanza come giustapposizione a quella di integrazione tra scuola e azienda, dove il lavoro entra a scuola e non solo la scuola nel mondo del lavoro;
  • favorire una trasformazione della scuola, in termini di maggiore flessibilità nelle modalità di insegnamento, nei tempi dell’apprendimento e della valutazione, incentivando una maggiore personalizzazione e individualizzazione dei percorsi di formazione.

Di fronte a queste urgenze, parlare di integrazione e non di alternanza scuola-lavoro vuol dire nei fatti creare una vera contaminazione tra mondo educativo e azienda, in un ottica win-win-win:

  • la scuola, attraverso il confronto continuo con le aziende, può rispondere più adeguatamente ai bisogni formativi che emergono dal mercato;
  • le aziende contribuiscono a formare personale in linea con le esigenze di competenze professionali e trasversali;
  • gli studenti possono godere di una formazione nella quale la “scuola” non è solo preparatoria ad un futuro, ma già occasione di verifica delle competenze acquisite, ma in un contesto guidato.

Il modello introdotto nella scuola Oliver Twist di Cometa Formazione è quello della “scuola-impresa” dove l’esperienza di lavoro è portata all’interno della scuola nella forma di botteghe produttive o laboratori didattici (legno, tessile e bar/ristorazione) aperti al pubblico. Questo modello, nato anche per esigenze di sostenibilità economica, ha permesso un ripensamento dei metodi e dei contenuti della didattica nelle materie generali (matematica, italiano, scienze, storia, arte, economia, inglese): il processo di apprendimento di Cometa, reality-based learning (Campiotti et al., 2017), pone il suo accento sull’esperienza reale di commessa nella quale i ragazzi vengono coinvolti in bottega, portando conoscenze e competenze generali al servizio della realizzazione del prodotto.

Il modello della Scuola-Impresa
Questo nuovo modello di scuola, finalizzato a “portare l’azienda a scuola”, evolve per fornire agli alunni adeguate strutture per acquisire le competenze, le abilità e le capacità che permettono il raggiungimento di una formazione consona agli sbocchi lavorativi del contesto in cui opera caratterizzato da continua innovazione. L’obiettivo è quello di realizzare un organico collegamento con il mondo del lavoro attraverso modalità di apprendimento flessibili ed equivalenti agli esiti dei percorsi del secondo ciclo di istruzione, collegando la formazione d’aula con l’esperienza professionale pratica. Le competenze acquisite sono così direttamente spendibili nel mercato lavorativo. La scuola ha il compito di favorire lo sviluppo delle competenze degli studenti. La competenza non può essere «trasferita» come una conoscenza: si impara solo facendo. Lo sforzo metodologico è quindi teso a rendere sperimentabili i temi oggetto dell’apprendimento e dell’attività orientativa.
L’apprendimento in “assetto lavorativo” è una strategia formativa particolarmente efficace perché mette gli studenti in condizione di fare avendo un risultato da produrre, in un sistema rigoroso di regole organizzative (tempi, procedure, ruoli…) e favorisce l’orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali. Si ritiene infatti che la formazione e l’acquisizione delle competenze professionali sia largamente facilitata dall’organizzazione delle attività formative in assetto lavorativo, cioè ordinate secondo un effettivo e completo processo di produzione, realizzato interamente da discenti e maestri fino alla realizzazione e vendita al cliente di beni e servizi. Ciò significa che le attività che si svolgono all’interno dei laboratori didattici sono finalizzate alla realizzazione di beni e servizi reali, paragonabili in tutto e per tutto a quelli di una vera azienda del settore.
Obiettivi dell’azione sono:

  • rendere gli studenti protagonisti del processo di apprendimento;
  • dare agli allievi l’opportunità di trasformare le conoscenze acquisite sui banchi in competenze professionali e trasversali;
  • misurarsi con la complessità e l’imprevedibilità della realtà e del mondo del lavoro;
  • organizzare il lavoro;
  • acquisire competenze trasversali al lavoro come: gestire informazioni, gestire risorse, gestire relazioni e comportamenti, problem solving.

All’interno dei laboratori didattici in situazione si insegna agli allievi un metodo per conoscere, imparare a valutare e apprendere dall’esperienza concreta dal “fare per davvero”, portando così il mondo all’interno dell’aula e l’aula nel mondo. Non trattandosi di una simulazione, l’urgenza della competenza professionale emerge maggiormente e, di conseguenza, rende altrettanto urgenti per il soggetto in apprendimento tutte le competenze culturali e umane che sono anche quelle indicate dagli obblighi di istruzione. Nelle botteghe didattiche di Cometa, ad esempio, si pratica la job rotation. La job rotation è una prassi diffusa presso alcune grandi aziende che consiste nel far ruotare un dipendente (di solito un neoassunto) per il primo periodo della sua carriera lavorativa, nelle diverse divisioni aziendali, allo scopo di verificare per quale settore abbia più attitudini, di facilitare la circolazione dei saperi taciti, di motivare la risorsa umana attraverso una conoscenza piena della parte che il suo lavoro ha nel processo complessivo.
Portando il caso del percorso formativo di sala bar di Cometa Formazione, la bottega (chiamata “Bottega del gusto”) gestisce un bar, un ristorante e una pasticceria. Il personale è composto da maestri e allievi. Questi, oltre alla quotidianità del servizio, organizzano eventi all’interno degli spazi di Cometa e catering esterni (pranzi di lavoro, serate a tema, serate à la carte, cene di gala, buffet, welcome coffee e coffee break per eventi aziendali, social day, cerimonie), secondo il brand Cometa o assecondando i gusti e le esigenze dei clienti. Gli allievi, due giorni alla settimana per 8 ore, svolgono la loro job rotation presso la Bottega del gusto, che per loro si configura come formazione in assetto lavorativo. Questi reparti sono per gli allievi l’ambito in cui imparare facendo. In ogni reparto gli allievi sono seguiti, o meglio “lavorano con” dei docenti-maestri, che formano gli allievi durante il lavoro, offrendo conoscenze e aiutandoli nell’esercizio di abilità: i maîtres, gli chef, i pasticceri, i bartenders. Gli allievi oltre che prestare servizio in sala, al bar, in cucina e in pasticceria, si occupano dei carichi e dei controlli in magazzino. Per quanto riguarda gli eventi e i catering esterni, alcuni di essi sono interamente organizzati dagli allievi, sostenuti e guidati dai maestri nel processo produttivo. In altri casi la parte organizzativa è curata dai maestri e la parte realizzativa svolta insieme. La tendenza, tuttavia, è quella di far partecipare sempre di più gli allievi, con responsabilità crescenti, al processo ideativo e progettuale di ogni evento.
In questo modo si ottengono diversi vantaggi. Innanzitutto la professionalità si perfeziona direttamente sul campo in maniera eterogenea ma completa: tutti gli allievi possono svolgere le diverse mansioni della filiera imparando a confrontarsi con le diverse problematiche e a scambiarsi suggerimenti nel paragone reciproco, ma anche a gustare gli aspetti che permettono di esprimere la propria personalità (così qualcuno scopre di essere più portato per il bar, qualcun altro per la sala o per la pasticceria). Nel tempo si acquisiscono sempre più abilità, e con l’occorrere di casi diversi si diventa sempre più competenti; le competenze circolano tra tutti, non rimanendo beneficio di piccoli gruppi; ciascun allievo ha la possibilità di sperimentarsi in tutti gli ambiti e riconoscere quello che gli è più congeniale. Infine, questo offre spazio per la personalizzazione sulla base delle attitudini: se un allievo mostra infatti particolare interesse per uno degli ambiti, quello può divenire prevalente nella sua formazione, o essere fatto oggetto di ulteriori laboratori extracurriculari.”

Il reality-based learning process
Al modello della scuola-impresa corrisponde un processo di apprendimento, il reality-based learning, che si è consolidato e perfezionato a partire dal 2011, per permettere una integrazione reale tra mondo aziendale e scuola. Lo scopo del processo formativo di Cometa Formazione non è solamente di offrire un’esperienza di lavoro ai ragazzi in senso generale, bensì formare delle persone capaci di stare al mondo; persone consapevoli di dove vivono, dei loro limiti, delle loro capacità e responsabilità, e capaci di prendere decisioni (Campiotti et al., 2017).
Non si tratta di un metodo deduttivo nel quale l’insegnante trasmette idee allo studente, le quali vengono poi implementate. Ma è un metodo induttivo: lo studente inizia con un elemento della realtà, successivamente concettualizzato. Questo modello è considerato anche un forte incentivo educativo all’imprenditorialità, perché la conoscenza, perché diventi passione, deve impastarsi con la materia. Altrimenti non c’è conoscenza, ma solo informazione. Perché accada un avvenimento di conoscenza, occorre che l’insegnante stimoli ad un confronto tra la realtà e ciò che interessa l’allievo. Solo in questo modo può scattare una scintilla. L’educazione in Cometa si basa su una visione, un principio culturale: il realismo. Gli insegnanti devono fare in modo che gli studenti acquistino realismo. Non è l’idea in sé che genera la realtà, ma è il rapporto tra il soggetto e l’oggetto che crea l’idea. Quando l’idea viene generata attraverso la relazione con la realtà, lo studente è capace di comprendere l’origine dell’idea. Inoltre, lo studente ripercorre la scoperta dell’origine dell’idea e la sviluppa aggiungendo le sue esperienze.
La proposta educativa della Scuola Oliver Twist vede il mondo di lavoro come un’area dove avviene lo sviluppo culturale e professionale. Per gli studenti, il lavoro rappresenta un aspetto positivo che li fa sentire competenti. Inoltre, il lavoro fa diventare loro protagonisti rafforzando la loro sicurezza in se stessi. Attraverso l’esperienza è possibile riscoprire o contestualizzare la teoria. Lo sviluppo di capacità e professionalità avviene insieme allo sviluppo delle personalità degli studenti. Per queste ragioni, il modello educativo di Cometa Formazione è basato su attività reali: una metodologia che porta gli studenti ad accettare positivamente gli sforzi che sono necessari per raggiungere un certo obiettivo.
Il modello didattico descritto è basato su lavori progettuali e su varie unità formative. Gli insegnanti creano il percorso educativo che accompagna gli studenti durante la realizzazione dei loro progetti, iniziando dalle capacità che devono essere acquisite da ciascuno studente. Gli studenti svolgono attività lavorative tipiche per apprendere competenze di base, trasversali e tecnico-professionali. Le attività educative del contesto lavorativo non sono gestite in maniera pratica, ma seguono un approccio olistico: gli studenti vengono introdotti all’intera catena produttiva in modo da ottenere una visione completa, ma anche per scoprire i loro talenti e le loro preferenze. Durante l’intero processo formativo, le competenze sono divise in due grandi sezioni:

  • (a) competenze professionali/tecniche;
  • (b) competenze di base/abilità distinte in:
    • competenze promozionali (lingue, storia, public speaking, …);
    • competenze gestionali del prodotto e del processo (matematica, scienze, economia, …).

Trasversalmente a queste due macro-aree, soprattutto grazie alla presenza del tutor, gli studenti sono accompagnati nella maturazione delle competenze trasversali, competenze per la vita, vale a dire capacità di pensiero critico.
Il processo di reality-based learning si suddivide in quattro fasi che si ripetono ad ogni quadrimestre (fig. 4): 1- ideare; 2- progettare; 3- realizzare; 4- valutare.
Figura 4: Rappresentazione del processo di apprendimento reality-based in Cometa

Fonte: Elaborazione propria
La fine di ciascuna sezione coincide con la preparazione di un prodotto: (1) il mood board, (2) il progetto, (3) il prodotto o l’evento e (4) il report di valutazione. L’intero processo viene ripetuto due volte all’anno. Non è un modello rigido, ma dipende da vari fattori, come ad esempio la classe e i progetti. Inoltre, questo processo di apprendimento può essere adattato a diversi settori.
Il punto iniziale del lavoro formativo ed educativo è sempre una commessa reale, sulla quale i docenti e la direzione della scuola costruiscono e pianificano i tempi e i modi della formazione per tutto l’anno. Accettata la commessa, ha inizio il processo di ideazione, durante la quale sono programmate varie attività:

  1. Introduzione a Cometa. Gli studenti visitano Cometa con lo scopo di conoscere il suo mondo. Raccolta di foto e/o note.
  2. Visite formative nel territorio di Como, per scoprire la storia e la geografia del contesto di Cometa.
  3. Incontro con studenti più grandi che raccontano le loro esperienze con le commesse dei clienti per far comprendere il senso delle commesse agli studenti più giovani.
  4. Introduzione al metodo creativo attraverso un video e un campionario catalogo.
  5. Creazione del book per raccogliere e sintetizzare il percorso personale (mood board).

Durante l’ideazione è indispensabile comprendere bene il contesto dell’oggetto. Perciò le suddette attività sono organizzate per aiutare gli studenti ad essere consapevoli del luogo in cui si trovano e di cosa significhi Cometa. Ogni prodotto creato nella Scuola Oliver Twist porta il brand Cometa che, ogni anno, viene approfondito e si arricchisce dell’esperienza e della riflessione personale dei suoi studenti.
L’ideazione (che costituisce un vero e proprio esercizio di design thinking) è una parte molto importante dell’educazione all’imprenditorialità di Cometa Formazione. Dare agli studenti la possibilità di lavorare sull’ideazione di un prodotto e sulla loro creatività rappresenta un’opportunità straordinaria. Durante questa fase è molto utile lavorare insieme allo studente sulla sua soggettività e sul suo protagonismo. È importante far sapere agli studenti che le loro opinioni contano e contribuiscono in maniera originale alla costruzione comune. Molto spesso gli studenti non credono in se stessi e non si considerano importanti. Per questo è necessario mostrare loro che danno valore al gruppo. La fase di ideazione, così come descritta, è svolta all’inizio del percorso scolastico. Dopo questa prima esperienza, la fase di ideazione si ripete quando si accetta la commessa: occorre approfondire la conoscenza del cliente e del suo contesto, i suoi gusti e le sue aspettative, per potergli offrire un prodotto o un servizio adeguato. In questa fase, ad esempio, il supporto del docente di italiano (o di inglese) è essenziale nell’imparare a realizzare un’intervista al cliente, un report, una presentazione commerciale.
La seconda fase riguarda il processo di progettazione. L’insegnante interviene grazie alla sua esperienza, aiutando gli studenti nella preparazione dei progetti personali e nel valutare la realizzabilità della loro idea in termini di costi e scelte di mercato (matematica, economia), tipo di materiali da utilizzare (scienze), presentazione al cliente (italiano, inglese), etc. La progettazione punta a far emergere una dimensione di creatività personale (stimolata non solo nel rapporto con i tutor, ma anche attraverso lo studio della letteratura) e far maturare il riconoscimento che la cultura e la conoscenza sono un contributo essenziale allo sviluppo personale e professionale armonico. Per questa ragione, la progettazione non è solamente basata su aspetti tecnico-professionalizzanti, ma coinvolge competenze più generali e trasversali. Ad esempio, al termine della progettazione, ciascuno studente o ciascun gruppo all’interno di una classe avanza una proposta che viene condivisa dagli altri compagni e, con l’aiuto del docente, valutata, per poter arrivare, attraverso un lavoro di team, a formulare una proposta unitaria al cliente.
La terza fase concerne la produzione e prevede la realizzazione del prototipo scelto dal cliente. In questo modo è possibile presentare al seguente incontro un modello di scala realistica. Nel caso in cui il cliente sia sodisfatto con il prototipo, gli studenti iniziano la realizzazione del prodotto. La durata dipende dallo specifico ambito lavorativo di riferimento. Se il cliente non fosse soddisfatto, la produzione deve essere modificata affinché i risultati previsti siano veramente realizzabili.
L’ultima fase concerne la valutazione, durante la quale si pone a tema non solo il prodotto ma anche l’apprendimento personale. Il complesso di osservazioni sistematiche e continue, lungo tutto il percorso, è curato dagli insegnanti e dai tutor e condiviso con gli studenti. La valutazione permette agli insegnanti e agli studenti di riflettere sul modello e sul processo in modo da approfondire eventuali criticità. Inoltre, la valutazione delle competenze acquisite nel contesto lavorativo avviene attraverso il costante monitoraggio e attraverso l’analisi del feedback del cliente.
Durante l’intero processo, le due relazioni studente-tutor e studente-insegnante sono fondamentali (De Palma e Nardi, 2016). Da un lato c’è l’insegnante, pedagogicamente una figura paterna: è colui che pone davanti allo studente la realtà e cerca di tirar fuori la verità che sta in lui, perché più lo studente conosce se stesso, più sa cosa domandare dentro la realtà. La relazione di apprendimento è sempre una relazione fondata sull’attendibilità di ciò che l’insegnante trasmette allo studente. L’allievo non verifica solo quello che gli è stato detto, ma verifica chi è colui che lo sta dicendo. Ogni insegnante usa la materia insegnata per formare gli studenti. Dall’altro lato c’è il tutor, che incarna pedagogicamente il ruolo materno. È colui che rende la comunicazione tra studente e insegnante più umana. Il tutor è presente durante l’intero processo di apprendimento e aiuta lo studente ad organizzare il suo programma formativo, aggiungendo ad esempio, se necessario, più ore di studio per garantire una assimilazione più efficace dei contenuti. Il tutor progetta inoltre il tirocinio curriculare in azienda e, durante lo svolgimento, introduce, sostiene e guida lo studente. Il tutor supporta anche l’insegnante nel guardare diversamente il ragazzo e comprendere meglio i suoi bisogni educativi. È un educatore professionale, che non dice agli studenti cosa devono fare, ma spiega loro chi è lui.
Entrambe le relazioni sono basate sulla connessione tra due unicità. L’insegnante e il tutor (ma anche lo studente) devono essere coscienti del fatto che si trovano davanti ad una unicità. L’insegnante, come anche il tutor, non incontra solamente lo studente, ma un “io”, con il quale deve entrare in contatto. L’”io” è un mistero, qualcosa di sconosciuto, la cui scoperta, nel corso della formazione, arricchisce tutti: lo studente, l’insegnante e il tutor.

Il compito dei docenti in una dimensione di transdisciplinarietà
Nel realitybased learning la realtà orienta e investe le attività didattiche in tutte le fasi della proposta formativa: dalla progettazione, allo svolgimento delle lezioni fino alla valutazione degli esiti. La progettazione didattica è inserita come parte integrante dello svolgimento del processo di produzione della commessa proposto agli studenti durante l’anno scolastico; le unità formative in cui è articolata rappresentano gli strumenti di sintesi della proposta educativa unitaria e finalizzata all’acquisizione delle conoscenze e allo sviluppo di abilità che compongono le varie competenze.
L’attività lavorativa è utilizzata come ambito privilegiato per la scoperta di sé e del mondo: a partire dall’esperienza come fonte e patrimonio per la conoscenza degli uomini e delle cose, viene favorito un paragone reale degli allievi con le chiavi di lettura della realtà insite in ogni disciplina scolastica e quindi un effettivo apprendimento. Questa innovazione è fortemente permeata da un concetto pedagogico basilare: si apprende ciò di cui si fa esperienza nella realtà e lo sperimentare diventa mezzo di conoscenza. Questa impostazione raggiunge inoltre contestualmente una serie di obiettivi trasversali come la motivazione dello studente connessa alla soddisfazione del risultato e al riconoscimento di un terzo soggetto che acquista il prodotto, la personalizzazione del percorso modulato sulle capacità individuali.
Emerge con evidenza la necessità di superare la suddivisione in materie e discipline all’interno del medesimo percorso di studio, oltre che la storica dicotomia tra il fare e il sapere, l’esperienza e la teoria, le discipline tecnico-professionali e quelle “di base”. Tutti i docenti, partendo dalle competenze da acquisire per la realizzazione del prodotto proposto su commesse reali, declinando la loro disciplina, costruiscono percorsi di apprendimento che accompagnano gli studenti nella realizzazione del loro progetto. Questo aiuta lo studente a confrontarsi veramente con il mondo del lavoro e favorisce la motivazione ad apprendere le competenze e le conoscenze che lo rendano in grado di affrontare il compito in modo competente. In questo modo la didattica tutta, nel suo sviluppo all’interno dell’anno formativo, non risulta solamente inter-disciplinare, ma piuttosto transdisciplinare: lo studente in azione, infatti, si trova a mettere in campo delle competenze di differente natura anche in modo contestuale, così da superare di fatto, nella realizzazione del prodotto, il concetto di suddivisione dei saperi, in favore di un approccio olistico all’opera da completare.

L’impatto sulle soft skills
Il cuore di questo processo di apprendimento è lo studente, considerato oggetto unico dell’azione educativa; la scuola, oltre che trasmettere sapere, deve avere come obiettivo primario la formazione completa della persona. In questo senso si parla di reality-based learning, in quanto il compito principale è educare persone al rapporto con la realtà (dentro la realtà); non è sufficiente “addestrare” gli allievi solo ad una determinata professione. Attraverso il percorso formativo si vuole perseguire non solo la capacità di “saper fare”, ma anche del “saper essere” e la consapevolezza del “perché” e del “come” si fa perché più vantaggioso e corrispondente alle esigenze della persona.
Oltre alla conoscenza della realtà e all’educazione a coglierne il senso e la bellezza, la finalità della scuola è quella di accompagnare gli allievi, attraverso un percorso educativo, alla conoscenza di sé e alla scoperta della propria “eccellenza” come persona, in quanto diventare se stessi è un’opportunità e una sfida alla portata di tutti. L’impostazione e la programmazione didattico-educativa è perciò improntata a fornire al giovane quelle competenze che sono state evidenziate come determinanti per affrontare oggi la complessità del mondo del lavoro, quali:

  • l’abitudine alla riflessione critica sulle idee, sulle diverse visioni dell’uomo e del mondo, sul senso della vita, sul contesto storico dell’arte, della scienza, della cultura in genere;
  • la capacità di cogliere il senso delle regole, delle prassi e del comportamento adeguato nel mondo del lavoro, la disciplina, il comportamento e il portamento;
  • la capacità di inserirsi positivamente nel gruppo classe, e ancor più nel team di lavoro (sia esso la brigata di cucina o la bottega artigiana), maturando un rispetto di sé, degli altri e del bene comune.

Un’attenzione particolare è riservata al tema dello spirito imprenditoriale e di leadership. L’imprenditorialità è un’attitudine: è predisposizione al rischio; è il desiderio di costruzione; la curiosità e la passione; è una insoddisfazione continua per cui ogni cosa deve essere fatta meglio; la ricerca continua della soluzione più appropriata per quel preciso bisogno. Un imprenditore sa come esprimere un’idea, sa come calcolare fattori importanti come, ad esempio, i costi e il materiale necessario. Un imprenditore è qualcuno che sviluppa concetti innovativi, anticipando il mercato. Non tutti saranno imprenditori di una propria impresa, ma dovranno esserlo come imprenditori di se stessi.
Questo modo di essere si coltiva nella maturazione del rapporto con se stesso, con le cose e le persone. Quindi, sono coinvolti i seguenti tre elementi: l’ “io”, il mondo e il “tu”. L’elemento essenziale per lo sviluppo dell’io è la relazione. La relazione che educa è quella che introduce al rapporto con la realtà intera, e che implica la capacità di imparare ad imparare. Nell’integrazione scuola-lavoro, l’accompagnamento del tutor è fondamentale ed è utilizzato per insegnare capacità di leadership e di pianificazione.
Inoltre, questa relazione educativa è caratterizzata dal protagonismo del soggetto: lo studente deve realizzare il suo progetto e gli insegnanti devono aiutarlo, mettendo a disposizione tutti gli strumenti necessari per la creazione di tale progetto. È in questa avventura che il ragazzo vive l’esperienza dell’imprenditorialità e della generatività. Lo studente scopre l’idea in relazione con il mondo. Infatti non inventa l’idea ma la compone. Gli strumenti messi a disposizione dagli adulti aiutano lo studente a trasformare l’idea in un progetto o prodotto che diventa vendibile. Questa è la condizione che permette di scoprire la passione, ed è la scintilla che fa di una persona un imprenditore. Perché senza questa scintilla, che passa dal proprio desiderio, una persona non potrà mai diventare un imprenditore. Si tratta della riscoperta del valore attribuito alla conoscenza pratica. Il design thinking, ossia l’ideazione di un progetto, crea la giusta connessione tra realtà e conoscenza. Infatti, è l’impatto con un problema reale, con un’esperienza, che fa crescere il desiderio di conoscere e la speculazione intellettuale.

5. La valutazione del modello

Introducendo questo metodo, Cometa Formazione ha potuto riconoscere che gli studenti sono più sicuri di se stessi e il contesto di apprendimento è molto più stimolante. Questo tipo di organizzazione richiede un notevole lavoro di gruppo, ma è in grado di generare un impatto molto positivo:

  • Fin dall’inizio, gli studenti producono oggetti concreti che i clienti esterni considerano di valore. Il processo aiuta gli studenti a realizzare di essere capaci di creare qualcosa di bello e di prezioso.
  • Gli studenti utilizzano competenze di materie di base (inglese, italiano, matematica, storia) per realizzare i prodotti e i documenti richiesti. Tematiche che sembrano essere astratte e oscure diventano un’esperienza, perché vengono utilizzate durante la realizzazione del progetto dello studente. Questa esperienza incrementa l’interesse per varie materie e aumenta la relazione tra studente e conoscenza.
  • Gli studenti sperimentano la comunione della conoscenza utilizzando questo metodo: ciascuna materia contribuisce alla formazione e allo sviluppo personale e professionale dello studente. La comprensione di questo legame è fondamentale per generare l’interesse dello studente per le varie attività proposte dalla scuola.
  • Il tutor stimola lo studente lavorando nella stessa direzione, perché gli studenti si sentono più sicuri quando vengono guidati da qualcun altro con esperienza.

Grazie all’adozione di questo specifico processo di apprendimento, è possibile osservare studenti che superano apatia e scettiscismo, che ricominciano a fidarsi di un adulto e che sviluppano la passione per qualcosa che succede a scuola. Tutto questo ha un effetto positivo sulla generale performance scolastica e migliora anche i loro risultati scolastici. In effetti, la creazione di un contesto di insegnamento positivo permette di incrementare il livello della proposta educativa, con ulteriori ricadute positive per gli studenti.
Ecco quanto scritto da una studentessa nel corso di una delle attività di formazione in assetto lavorativo nel percorso di sala bar, in preparazione al suo elaborato finale: “Grazie per oggi, nonostante sia sempre stata legata a questa scuola, in questo ultimo periodo mi sto legando davvero molto a chi si sta mettendo in gioco per una tesina. Tu, [si riferisce all’insegnante] e [citati anche altri nomi di docenti e tutor] mi avete fatto scoprire quanto sia bello e soddisfacente lavorare non per soldi ma perché c’è una passione grande. Siete fantastici! Grazie ancora!”
Il valore di questa proposta educativa è stato riconosciuto da diversi soggetti, istituzionali e non. Nel corso del 2015, la Fondazione ETF (European Training Foundation) della Commissione Europea ha premiato il metodo di Cometa come uno dei dieci migliori programmi europei di formazione, con una menzione particolare per l’imprenditorialità. A dicembre 2016 la Unità per la formazione professionale della DG EMPL della Commissione Europea ha selezionato Cometa Formazione tra le finaliste per il premio alla migliore scuola di formazione professionale nel corso della VET Week 2016.

La misurazione di impatto sociale nel 2016
Il Politecnico di Milano, nella analisi di impatto sociale svolta per Cometa Formazione nel corso del 2016, ha strutturato una griglia di rilevazioni relativi ad outcome e impatti della formazione svolta dalla scuola-impresa con il modello reality-based learning. A seguito della raccolta dati, tramite interviste, focus group e estrazioni dalle banche dati, è stato possibile mettere in rilievo diversi indicatori, riportati nella tabella seguente.

Tabella 1: Indicatori di outcome e impatto sociale

Indicatore (Indicatore specifico) Misura
 
Outcome
Crescita umana e relazionale Più del 95% degli studenti ritiene di essere cresciuto umanamente.
«Svolgo le attività con clienti veri e quindi di cresco di più.»
Più del 75% degli studenti ritiene di essere stato aiutato ad accogliere e accettare le diversità.
«Lavorando in gruppo con ragazzi della mia età, con quelli più grandi o con magari ragazzi che hanno alcuni problemi.»
Più del 80% degli studenti ritiene di essere stato aiutato a relazionarsi facilmente.
«Mi relaziono con persone anche esterne alla scuola.»
Il 18% degli studenti svolge attività di volontariato.
Crescita culturale e professionale Il 94% degli studenti è stato promosso.
Più del 90% degli studenti* del liceo del lavoro, in precedente dispersione scolastica, ha frequentato tutto l’anno scolastico.
Più del 93% degli studenti ritiene di essere cresciuto professionalmente.
«Il metodo dal fare al sapere per me è molto efficace perché se mentre stai facendo qualcosa non lo capisci o ti sorgono delle domande puoi chiederla e capirla subito e meglio perché stai facendo quel compito in quel momento e mentre fai e apprendi la pratica impari anche la teoria. Per me ti rimangono molto più impresse le cose e per me è stato cosi.»
Inserimento lavorativo Più del 60% degli studenti che hanno terminato gli studi dal 2012 al 2014 hanno trovato lavoro.
Più del 60% degli ex-studenti* occupati non risulta completamente dipendente economicamente dalla famiglia (*negli ultimi 3 anni).
Quasi il 70% degli ex-studenti* occupati ha un lavoro coerente con il percorso di studi svolto (*negli ultimi 3 anni).
Benessere familiare Il 29% degli degli ex studenti occupati contribuisce attivamente alle spese familiari
Sostenibilità Il 19% dei proventi di Cometa Formazione proviene dalla produzione in Bottega
Il 77% dei clienti del ristorante e del bar sono soddisfatti del servizio
Impatto sociale Gli studenti non più in dispersione scolastica generano una riduzione delle spese allo stato di circa 650.000€ all’anno
Negli ultimi 4 anni 210 ex studenti di Cometa hanno trovato lavoro con uno stipendio medio di circa 900€/mese, generando un valore economico diretto di circa 2.000.000€ nel 2015
Gli studenti di Cometa a un anno dal diploma, presentano un tasso di occupazione del 8% più alto rispetto alla media dei professionali in Italia e prossima alla media europea del 77%. Nel caso del percorso di sala bar (oltre 80%), il modello raggiunge già il target europeo per il 2020 dell’82%

Fonte: elaborazione Gruppo Tiresia, Politecnico di Milano, 2016

6. Il modello e le condizioni per la sua implementazione

Nel contesto delle sfide socio-economiche, tecnologiche e demografiche attuali, il sistema educativo e formativo deve facilitare i giovani nella maturazione non solo di competenze professionali adeguate alle future professioni, ma anche trasversali (soft skills). La grande insistenza verso i sistemi work-based, inclusi i sistemi duali e l’alternanza scuola-lavoro, si fonda sul riconoscimento che anche nei luoghi di lavoro possono essere svolte azioni lavorative e azioni tipicamente formative. Il luogo di lavoro può infatti essere inteso come giacimento culturale che la scuola può utilizzare come mezzo per i suoi scopi formativi, coniugando adeguatamente le azioni formative svolte nei suoi luoghi e le azioni formative svolte nei luoghi di lavoro. La ricerca e gli studi su questi modelli, tuttavia, evidenziano negli studenti un sempre minore interesse nelle materie scolastiche, con il rischio di un gap crescente in literacy e numeracy, oltre ad una percezione di mera giustapposizione tra le materie cosidette teoriche e quelle professionalizzanti, a detrimento delle prime come impegno.
Occorre rendere più consistente il rapporto tra i luoghi e i momenti nei quali si impara e i luoghi e i momenti nei quali si applica, evitando che il concetto di alternanza implichi implicitamente una divisione tra scuola e lavoro. Il modello di integrazione scuola-lavoro di Cometa Formazione e il processo di apprendimento reality-based sviluppato negli ultimi anni hanno risposto a questa esigenza portando non solo l’esperienza del lavoro all’interno della scuola, ma anche orientando la didattica al servizio del processo produttivo, identificando criteri e modalità operative per procedere all’analisi dei processi di lavoro, al fine di trovare in essi le conoscenze e le abilità richieste nelle indicazioni nazionali e regionali per l’istruzione e formazione professionale.
I fattori essenziali per l’implementazione di questo modello, così come emerso nell’esperienza di Cometa Formazione, sono essenzialmente tre. In primo luogo il rapporto tra scuola e azienda, improntato ad una vera partnership fondata su un patto formativo: quanto meglio i ragazzi vengono educati nel contesto scolastico, tanto più le aziende del territorio potranno contare su personale adeguato, riducendo il rischio di skills shortage. In tal senso la partnership si può e si deve giocare anzitutto in un costante confronto sui bisogni formativi che regolarmente emergono dal mercato: nuove tecnologie, nuovi trend, così come percepiti dalle aziende, possono essere un elemento utile per la scuola per aggiornare i propri percorsi formativi.
Un secondo fattore, sviluppo del primo, è che l’educazione è sempre più un processo di co-creazione che coinvolge non solo la scuola e i suoi operatori, ma anche famiglie, istituzioni e, come anticipato, le aziende. Misure economiche a vantaggio della formazione, in modalità anche molto diverse tra loro (OECD, 2017) sono sicuramente una prima forma di sostegno; allo stesso tempo incentivare il riconoscimento dei percorsi informali e non formali di apprendimento e, più in generale, una maggiore flessibilità nella formazione e una riduzione degli aspetti burocratici, costituirebbero un contributo importante da parte delle istituzioni.
Ultimo fattore, ma certamente decisivo per importanza, riguarda gli educatori della scuola nel XXI secolo. Occorre anzitutto garantire al docente la possibilità di attuare una progettazione flessibile, costruendo percorsi che permettano di toccare le competenze necessarie attraverso tematiche scelte in base al percorso dell’allievo e della classe, secondo una personalizzazione e individualizzazione laddove possibile (Cervellera, 2016). Cometa Formazione ha creato una proposta nuova e diversa. Una proposta che permette un cambiamento che passa da una semplice trasmissione di contenuto a quella di un problema reale. Ad esempio, l’insegnante di italiano deve saper gestire il fatto che gli studenti non siano in grado di presentare i loro progetti davanti ai clienti: non basta insegnare le opere di Dante se gli studenti non riescono ad esprimere bene la loro opinione.
Adottare il reality-based learning, richiede un cambio di mentalità: è necessario passare da “insegnare solamente contenuti” a “guardare l’individuo”. L’elemento vincente di Cometa Formazione è la sua visione che ognuno è unico ed eccellente. Per eccellenza non si intende un target definito a priori per tutti, ma significa diventare se stessi. Gli insegnanti di Cometa Formazione credono nella unicità dei loro studenti e provano ogni giorno di tirar fuori il talento specifico di ciascuno.
Nel momento in cui si offre un nuovo programma professionale agli studenti, è cruciale preparare anche gli insegnanti e i tutor a cambiare le loro metodologie di insegnamento. Occorre imparare ad aggiornare la propria conoscenza e sviluppare un atteggiamento di growth mindset. Gli insegnanti, soprattutto nella formazione professionale, hanno spesso un’esperienza concreta nei vari settori della loro specializzazione, nonostante tutte queste competenze debbano essere regolarmente aggiornate e adattate ai continui cambiamenti del mercato, come detto in precedenza. Per questa prospettiva di lifelong learning, si richiede non solo una modifica dei modelli pedagogici di formazione dei futuri insegnanti: occorre anche un nuovo modello di scuola, che incentivi un approccio proattivo verso la ricerca e verso lo sviluppo di nuovi contesti, nuove metodologie didattiche, nuovi strumenti di valutazione.

Bibliografia

Aakernes, N. (2016). Coherence between learning in school and workplaces for apprentices in the Media industry in Norway. Paper presentato a ECER 2016.

Akkerman, S.F. e Bakker, A. (2012). Crossing boundaries between school and work during apprenticeships. Vocations and Learning, 5, pp. 153-173.

Andersson, I., Wärvik, G.-B. e Thång, P.-O. (2015). Formation of apprenticeships in the Swedish education system: Different stakeholder perspectives. International Journal for Research in Vocational Education and Training (IJRVET), 2 (1), pp. 1-23.

Bartlett, A. (2007). Arithmetic Population and Energy: Sustainability 101. Disponibile su http://www.albartlett.org/presentations/arithmetic_population_energy.html.

Bertagna, G. (2006). Pensiero manuale. La scommessa di un sistema educativo di istruzione e di formazione di pari dignità. Roma: Rubattino.

Bertagna, G. (2012). Fare laboratorio. Brescia: La Scuola.

Billett, S. (2003). Workplace Mentors: demands and benefits. Journal of Workplace Learning, 15 (3), pp. 105-113.

Billett, S. (2007). Integrating contributions of workplace and college experiences in developing vocational knowledge. In McClean, R., Wilson, D. N. e Chinien C. (eds.), International Handbook on Education for the World of Work, UNESCO-UNEVOC. Dordecht: Springer Academic Publication.

Billett, S. (2011). Vocational Education: Purposes, Traditions and Prospects. Dordrecht: Springer.

Campiotti, F., Gomaraschi, M. e Nicotra, M. (2017). Il modello Scuola-Impresa e l’Experiential Learning in Cometa. Postato il gennaio 16 2017 su https://cometaresearch.org/non-categorizzato/il-modello-scuola-impresa-e-lexperiential-learning-in-cometa/?lang=it

CEDEFOP (2015). Skill shortages and gaps in European enterprises. Disponibile su http://www.cedefop.europa.eu/en/publications-and-resources/publications/3071

CEDEFOP (2016). European sectoral trends: the next decade. Disponibile su http://www.cedefop.europa.eu/en/publications-and-resources/publications/8093

CEDEFOP (2017). Dati su VET e lavoro. Disponibile su http://www.cedefop.europa.eu/en/publications-and-resources/statistics-and-indicators/statistics-and-graphs/indicator-overviews

Cervellera, E. (2016). Il tutoraggio nel tirocinio, chiave del successo formativo nel modello Cometa. Postato il 7 ottobre 2016 su https://cometaresearch.org/non-categorizzato/il-tutoraggio-nel-tirocinio-chiave-del-successo-formativo-nel-modello-cometa/?lang=it

Chatzichristou, S. (2017). What will you be when you grow up? Skills Panorama. Disponibile su http://skillspanorama.cedefop.europa.eu/en/blog/what-will-you-be-when-you-grow?utm_source=Source_GROW&utm_campaign=Campaign_GROW&utm_medium=Medium_GROW_EMAIL&utm_term=Term_GROW&utm_content=Content_GROW

Connor, M. e Pakora, J. (2007). Coaching and Mentoring at Work: Developing effective practice. Berkshire: Open University Press.

De Palma, L. e Nardi, P. (2016). Mentoring and design thinking for entrepreneurship learning. Postato il 12 dicembre 2016 su https://cometaresearch.org/non-categorizzato/__trashed/?lang=it

Eby, L. (2007). Understanding relational problems in mentoring: a review and Proposed investment model. In Ragins, B. R. e Kram, K. The handbook of Mentoring at Work. California: Sage.

Eraut, M., Alderton, J., Cole, G. e Senker, P. (2001). Development of Knowledge and Skills at Work. In Coffield, F. (ed.). Differing Visions of a Learning Society – Vol 1. Policy Press: Bristol.

Eraut, M. (2007). Learning from other people in the Workplace. Oxford Review of Education, 13(4), pp. 4003-422.

European Commission (2006). Thesaurus europeo dei sistemi educativi versione italiana. Eurydice.

European Commission (2016). Communication: A New Skills Agenda for Europe – Working together to strengthen human capital, employability and competitiveness. Disponibile su http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId=15621&langId=en

European Political Strategy Centre (2016) Sustainability Now! A European Vision for Sustainability. Disponibile su https://ec.europa.eu/epsc/sites/epsc/files/strategic_note_issue_18.pdf

Hagen, A. e Streitlien, Å. (2015). From talent to skilled worker. Telemark University College: Final report.

Hiim, H. (2015). Educational Action Research and the Development of Professional Teacher Knowledge. In Gunnarsson, E., Hansen, H. P., Nielsen, B. S. (Eds.). Action Research for Democracy. London: Routledge.

Lave, J. e Wenger, E. (1991). Situated learning. Legitimate peripheral participation. Cambridge: Cambridge University Press.

Lucas, B., Spencer, E. Claxton, G. (2013). How to teach vocational education: A theory of vocational pedagogy. Center of Real World Learning, Winchester.

Meireu, P. (1995). La pédagogie entre le dire et le faire. Parigi: ESF

Nardi, P. (2017). The steps toward excellence in VET: an overview on recent policies. Postato il 7 marzo 2017 su https://cometaresearch.org/non-categorizzato/the-steps-toward-excellence-in-vet-an-overview-on-recent-policies/?lang=it

OECD (2010). Learning for Jobs, Synthesis Report of the OECD Reviews of Vocational Education and Training. Disponibile su https://www.oecd.org/edu/skills-beyond-school/Learning%20for%20Jobs%20book.pdf.

OECD (2016). Getting Skills Right: Assessing and Anticipating Changing Skill Needs. Parigi: OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/9789264252073-en

OECD (2017). Financial Incentives for Steering Education and Training, Getting Skills Right. Parigi: OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/9789264272415-en

Pellerey, M. (2006). Dirigere il proprio apprendimento. Autodeterminazione e autoregolazione dei processi di apprendimento. Brescia: La Scuola.

Pestalozzi, J.H. (1806. Editato 1990). Idee, esperienze e mezzi per promuovere un’educazione conforme alla natura umana. Milano: Mondadori.

Rintala, H., Nokelainen, P., e Pylväs, L. (2015). Katsaus oppisopimuskoulutukseen: institutionaalinen näkökulma Review of apprenticeship education and training: an institutional perspective. Paper presentato a ECER 2016

Roncalli, P. (2003). Alternanza scuola lavoro. Ipotesi, modelli, strumenti dopo la riforma Moratti. Milano: FrancoAngeli.

Schön, D. A. (1987). Educating the reflective practitioner. San Francisco: Jossey-Bass.

Tobys, J., Kaszkowiak N., e Woźniak M. (2017). Patronage classes. Linking labor market with education. Postato il 20 marzo 2017 su https://cometaresearch.org/non-categorizzato/patronage-classes-linking-labor-market-with-education/?lang=it

Van der Loo, H. (2016). Paradigm Shift For An Exponential Era. Speech at the European Business Summit (7 maggio 2016). Disponibile su http://www.ebsummit.eu/content.php?id=389

Van der Velden R., Welter R. e Wolbers M. (2001). The Integration of Young People into the Labour market within the European Union: the Role of Institutional Settings. Research Centre for Education and the Labour Market, Working Paper, No. 7. Disponibile su http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.595.3458&rep=rep1&type=pdf.

Young, M. (2004). Conceptualizing vocational knowledge: Some theoretical considerations. In Rainbird, H., Fuller A. e Munro A. (Eds.), Workplace learning in context. London: Routledge.

Wenger, E. (1998): Communities of practice: learning, meaning, and identity. Cambridge: Cambridge University Press.

World Economic Forum (2016a). Future of Jobs. Employment, Skills and Workforce Strategy for the Fourth Industrial Revolution. Disponibile su http://www3.weforum.org/docs/WEF_Future_of_Jobs.pdf.

World Economic Forum (2016b). The Human Capital Report. Disponibile su http://www3.weforum.org/docs/HCR2016_Main_Report.pdf

Pubblicato da Barbara Robbiani

Como, 1964. Trainer specialized in Neuropsychological Rehabilitation, she has been working for twenty years before joining Cometa in the field of therapeutic and rehabilitation in the areas of drug addiction, social disorder and prostitution. For ten years she has been working as a counsellor in Cometa, organization recognized by the Lombardy Region for employment services for Cometa students and external benificiaries (young and adult unemployed). Her past experience in social disadvantage allows her to carry out in particular guidance activities for young people and adults who are experiencing difficulties, using tools for Balance of Competences and Active Job Search. These tools, according to a her personal methodology, aim at enhancing motivation, knowledge/self-consciousness, and developing a personalized project of integration into the world of work or training. In Cometa she is the author of the "Unità Formativa Stage" (Training Didactic Unit), an experimental material used for four years to help students prepare, re-elaborate and fully benefit from the potential for personal growth and preparation for the job market, the experience of internships.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *