Nel 2013-2014 il numero degli insegnanti di sostegno è stato pari a 110.216 (dati ufficiali del MIUR), figure professionali molto importanti per il contributo che hanno saputo dare all’integrazione degli alunni con disabilità negli ultimi quarant’anni. Oggi l’integrazione scolastica è in crescente difficoltà per il diversificarsi dei bisogni all’interno delle classi: disabili, DSA, BES. Spesso i docenti curricolari si sentono impreparati, gli insegnanti di sostegno insoddisfatti e, con loro, molte famiglie di alunni con disabilità. Partendo da queste considerazioni ci si chiede: come si possono realizzare i valori di equità e di partecipazione che sono alla base dell’integrazione scolastica che l’hanno ispirata? È possibile pensare a una scuola più inclusiva senza gli insegnanti di sostegno come siamo attualmente abituati a vedere? Come superare radicalmente la figura professionale “speciale” dell’insegnante di sostegno trasformandola profondamente? Non è facile, ma possibile, ciò potrebbe portare numerosi vantaggi per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e, in prospettiva, per una didattica realmente inclusiva. La chiave di questa proposta è lo stesso insegnante di sostegno, il cui ruolo si evolve. Un grande fattore culturale che cambia radicalmente.
(Articolo pubblicato su Nuova Secondaria, n.6/2016 anno XXXIII)
Dall’insegnante di sostegno al co-docente
L’organizzazione ideale del sostegno si delinea nella corresponsabilità dell’insegnamento, nella collaborazione e nell’aiuto reciproco. Pertanto già la normativa degli anni’70 (legge 118/71, Documento Falcucci 1975, legge 517/1977) conteneva il messaggio fondamentale che la scuola dovesse garantire una piena integrazione di tutti gli alunni e che l’insegnante di sostegno rappresentava una risorsa non solo per il ragazzo disabile, ma per l’intera classe. L’insegnante di sostegno è un docente, fornito di formazione specifica, assegnato alla classe in cui è presente l’alunno disabile. Non deve essere considerato l’unico docente cui è affidata l’integrazione (C.M. 250/1985 nota numero n.4088 del 2/10/02), ma come cita la legge 104/1992 nell’art.13 comma 6 “gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e all’elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di classe e dei collegi dei docenti”. Pertanto, come previsto dalla normativa italiana relativa all’integrazione, l’insegnante di sostegno è intesa come risorsa per tutta la classe e non come figura a cui viene delegata la responsabilità totale dell’allievo con disabilità.
Da qui prende forma l’idea di cambiamento positivo che tiene conto delle esperienze, delle competenze, della passione, dell’identità e della dignità professionale dell’insegnante di sostegno che non vengono disperse, ma valorizzate. La proposta si apre nella direzione della normalità, cioè della titolarità piena nell’organico funzionale della scuola. Questa linea di sviluppo “normalizzante”, sostenuta dal pedagogista Ianes 1, prefigura uno scenario in cui non esiste più qualcosa di separato che si chiama “insegnante di sostegno” legato alla diagnosi di uno o più alunni con disabilità, ma realmente titolare del lavoro educativo e didattico con tutti gli allievi. Un collega a tutti gli effetti. È un co-docente: cioè condivide con gli altri docenti di classe, ruolo, responsabilità e decisioni, non solo in merito ai disabili, ma anche ai DSA e BES.
L’azione di inclusione è compito di tutti gli operatori del sistema scolastico. Tutti hanno la responsabilità di attivare, facilitare e rendere possibile una positiva collaborazione a favore di tutti gli alunni relativamente ai propri bisogni di apprendimento. Nella ricerca continua del punto di contatto diventa assolutamente necessaria la stretta collaborazione tra gli insegnanti curricolari, che conoscono meglio un campo del sapere, la sua epistemologia e la sua didattica e il co-docente che conosce meglio l’alunno, le sue caratteristiche, i suoi bisogni e le dinamiche di insegnamento-apprendimento. Quest’ultimo si avvale delle competenze di progettazione pedagogico-didattica, delle competenze nell’insegnamento delle discipline attraverso didattiche speciali, di misure compensative e dispensative, semplificazioni e supporti tecnologici di varia natura; utilizza sul campo metodologie idonee e coerenti per la realizzazione del programma, pensato in equipe; attiva un monitoraggio costante dello svolgersi del percorso di sviluppo dell’alunno con difficoltà, utilizza modalità di verifica e di valutazione nel corso e alla fine dell’intervento educativo.
Distinzione tra ruolo di sostegno e intervento di sostegno
A scuola, nell’agire quotidiano deve essere chiara a tutta la comunità educante la distinzione tra ruolo di sostegno e intervento di sostegno. L’intervento di sostegno per il ragazzo con disabilità coincide con il suo intero orario scolastico e richiama alla necessità di avere presente, ora per ora, non solamente cosa il ragazzo sa o non sa fare, ma anche e soprattutto, con quali aiuti egli riesce a fare, di quali strategie ha bisogno per apprendere a lezione, quali aiuti gli servono perché ogni ora sia per lui una possibilità di crescita. L’intervento di sostegno, quindi, è il modo concreto con il quale si struttura, in un determinato contesto, la risposta ad uno specifico bisogno; in questo senso è una funzione che può essere svolta, ed è svolta, da diversi ruoli (docenti curricolari, tutor, maestri artigiani, educatori, coordinatore scolastico).
La parola aiuti rimanda alla pluralità di modi per consentire l’incremento di sviluppo umano del ragazzo. Il co-docente è solo uno di questi e nel suo essere “potere esperto per l’integrazione”2 svolge la sua funzione non solo nel lavoro diretto con il ragazzo, ma soprattutto nell’aiutare i colleghi ad aiutare i ragazzi. Nei confronti del minore si propone come guida autorevole, oltre che come esperto nel trattamento specifico della particolare minorazione del soggetto. Promuove nell’allievo la partecipazione attiva alla gestione delle attività; orienta l’attenzione in modo significativo sui vari contenuti della propria vita; cura la disciplina attraverso interventi regolativi e il raggiungimento della compatibilità delle sue aspettative con quelle degli altri.
Nei confronti della comunità scolastica si propone come arricchimento della potenzialità della funzione docente, come risorsa della collettività, al fine di integrare i bisogni formativi dello studente in difficoltà con quelli dei compagni di scuola, degli altri insegnanti, del sistema scuola in generale. I suoi compiti non si limitano al “sostegno”, ma attivano un processo che coinvolge collaborazioni plurime, nella scuola e nell’extra scuola; inoltre, sa sollecitare i colleghi affinché la presenza dell’alunno con deficit sia occasione perché gli stessi contenuti dell’insegnamento e apprendimento siano integrati delle conoscenze della disabilità, in ogni area disciplinare.
«Le attività dell’insegnante di sostegno dovrebbero estendersi e integrarsi in una più globale “funzione di sostegno”, attivata dalla comunità scolastica nel suo insieme, nei confronti delle tante e diverse situazioni di disagio e difficoltà che si manifestano. In questo caso sarà l’insieme della comunità-scuola, composto di insegnanti, personale tecnico, alunni e altre persone significative, che mobiliterà tutte le risorse disponibili, formali e informali, per soddisfare i bisogni formativi ed educativi speciali degli alunni, in relazione al tipo e al grado di difficoltà.»3 Più una scuola è flessibile per tutti, meno il disabile è affidato esclusivamente all’insegnante di sostegno.
L’insegnante di sostegno: mediatore e specialista tecnico di altro profilo
Compito del co-docente è proporsi come supporto ai colleghi per mettere in luce, e possibilmente risolvere, i problemi di metodo e di organizzazione di un percorso formativo personalizzato per gli alunni disabili, DSA e BES presenti in classe. È protagonista, insieme ai colleghi, della costruzione: del Piano Educativo Individualizzato per gli allievi con disabilità e del Piano Didattico Personalizzato per gli allievi DSA e BES.
L’insegnante di sostegno non è l’unico responsabile del piano educativo individualizzato o personalizzato, per quanto tecnicamente ben predisposto. In questo caso ci si troverebbe a operare con l’alunno in difficoltà in una condizione di “splendido isolamento”, in un’aula appositamente attrezzata come avveniva in passato. Le disposizioni normative sono chiare: il docente specializzato viene assegnato alle classi in cui sono presenti allievi disabili per garantire attività integrative e di sostegno, che comunque devono coinvolgere la generalità dei colleghi. È un mediatore, accreditato da competenze specifiche, con il compito di favorire il ri-conoscimento della peculiare originalità dello studente con deficit da parte della comunità classe, e la conciliazione tra i suoi bisogni educativi speciali e quelli dei compagni.
L’insegnante di sostegno deve essere in grado di integrare le conoscenze specifiche delle diverse forme di deficit e le informazioni desumibili dalla documentazione scolastica, talvolta superficiali e lacunose, con una osservazione attenta e mirata dell’alunno al fine di individuare gli interventi didattici e le strategie più adeguate ai suoi bisogni e alle sue potenzialità.
Sia la predisposizione, sia la realizzazione del piano educativo coinvolgono sinergicamente tutti i docenti, in un impegno (a volte non facile) di negoziazione e condivisione dei rispettivi punti di vista professionali. Ogni abilità disciplinare e trasversale non è presentata ed esercitata in modo separato, come fine a se stessa, ma come mezzo per la promozione dei molteplici aspetti della personalità dell’allievo, che si giova dell’esposizione a tutte le materie di studio, adeguatamente adattate, e a tutte le figure educative adulte.
Ciascun docente è invitato a ragionare non più “in termini di territorio, ma di confini”; non più della propria disciplina, ma della cultura che in generale la permea e ne giustifica l’esistenza. Inoltre, dal momento che il ruolo dell’insegnante di sostegno si configura soprattutto «come mediazione e sostegno alla mediazione, oltre che come aiuto tecnico dell’apprendimento, tra l’alunno portatore di handicap e la comunità scolastica»4 deve possedere buone capacità comunicative e relazionali al fine di poter gestire in modo proficuo una complessa rete di rapporti, tra l’alunno, la famiglia, la classe e gli altri docenti. Sostenere la prassi della co-docenza favorisce la co-costruzione del progetto di vita di ogni ragazzo. Tutti gli insegnanti, infatti, devono essere partecipi, perché l’integrazione degli alunni in difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della vita scolastica e non essere solo una presenza limitata a qualche ora o a qualche attività svolta con l’insegnante supplementare.
Lavorare a fianco dei colleghi, in classe, osservare, valutare situazioni e competenze, proporre strategie, metodi, aiutare nell’adattamento dei materiali, contribuire alle individualizzazioni e personalizzazioni, calarsi nel concreto delle classi e ritornarci dopo alcuni giorni, accompagnare, abilitare, attivare potenzialità residue e risorse che spesso sono latenti, nascoste sotto meccanismi di delega e di deresponsabilizzazione, significa essere esperti davvero e aiutare i colleghi a costruire quelle competenze educative e didattiche di cui hanno bisogno. Non si immaginano esperti di particolari problematiche come autismo, DSA, ritardo mentale, ecc., ma esperti di metodologie e tecniche educative e didattiche inclusive.
La scuola ha bisogno di un forte iniezione di competenza tecnica, metodologica, perché la ricerca scientifica in special education ha fatto grandi passi avanti, e la domanda e l’efficacia degli interventi scolastici diventano sempre più un tema forte sia a livello di ricerca che nel vissuto dei familiari. È necessario allargare la nozione di sostegno, vedendola come attività che accresce la capacità da parte di tutti nella scuola di rispondere alla diversità degli alunni. Si deve perciò, rivedere il ruolo dell’insegnante di sostegno e si concorda col sociologo Morin5, quando afferma che “ciò che non si rigenera, degenera”.
Questa espressione fa emergere la consapevolezza di come non sia sufficiente attuare l’inserimento di ragazzi con difficoltà nella scuola perché si sviluppi l’inclusione. Si tratta di un processo da costruire, situazione per situazione, anno dopo anno, non bastano, anche se costituiscono condizioni necessarie, le leggi e le risorse, ma è indispensabile che la scuola tutta sviluppi la capacità di essere inclusiva, accogliente, per tutti gli alunni, attuando la personalizzazione, offrendo risposte ai bisogni specifici di ognuno e possibilità di successo formativo per tutti.
Realizzazione dell’idea di cambiamento
Un esempio di come sia possibile trovare nella scuola una via di uscita rigenerante si trova nell’IeFP Oliver Twist, Associazione Cometa di Como, dove, attraverso un’esperienza reale, si sta cercando di realizzare la piena inclusione di tutti gli studenti, ricercando e sperimentando strategie e scelte didattiche innovative.
Il passaggio da insegnante di sostegno a co-docente, in Cometa, non viene realizzato solo per attuare la normativa della contitolarità con i docenti curricolari, ma rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale, un’evoluzione innovativa della funzione dell’insegnante di sostegno. È un cambiamento nel modo di pensare, non più di delega al docente di sostegno, ma una vera presa in carico di tutto il corpo docente. Questo perché da solo un insegnante spesso non trova il tempo, l’aiuto, la possibilità, il confronto operativo del fare in due. Con maggiore compresenza le metodologie didattiche ordinarie si evolvono verso forme strutturalmente più inclusive come: l’apprendimento cooperativo, il tutoring, la didattica laboratoriale, l’adattamento e la diversificazione del materiale di apprendimento, l’uso partecipato e inclusivo delle tecnologie. Insieme a un collega le cose si possono fare meglio. Si realizza il coteaching in cui i ruoli si possono differenziare e interscambiare. Con due insegnanti la classe può essere facilmente divisa in gruppi e sottogruppi, non è più un monolite inattaccabile, si è più vicino agli alunni, sia in senso didattico che psicologico, si rompono le barriere dell’aula, conquistando spazi diversi alla didattica ordinaria, si riesce meglio anche a intervenire sulle problematiche comportamentali in modo più preventivo o almeno più precoce, il gruppo classe fa meno paura, ed è più gestibile.
Si può pertanto concludere che la sfida di tutti gli educatori, e dell’insegnante di sostegno in particolare, sia proprio questa: «costruire delle circostanze che educano al cooperare mostrandone il vantaggio»6 per cercare di ridurre il disagio e lo svantaggio di quegli alunni che occupano posizioni “limite”, “di confine” o del tutto “marginali” nella classe e nella vita.